di Leonardo Boff
Oltre ai quattro vangeli (Matteo, Marco, Luca e Giovanni) che rappresentano l’intelligenza della fede, perché sono vere teologie della figura di Gesù, esiste una vasta letteratura apocrifa, (testi non riconosciuti ufficialmente), che porta tra gli altri il nome di apostoli, di discepoli e discepole del Signore tipo Vangelo di Pietro, di Maria Maddalena e la Storia di Giuseppe, il Falegname che commenteremo. Non furono accolti ufficialmente, perché non s’inquadravano nell’ortodossia dominante nel 2 e nel 3 secolo, periodo che vide la nascita della maggior parte di essi. Gli apocrifi ubbidiscono alla logica dell’immaginifico, e colmano il vuoto d’informazioni dei Vangeli, specialmente per quanto riguarda la vita privata di Gesù. Tuttavia hanno avuto una grande importanza per l’arte, soprattutto nel Rinascimento e in genere per la cultura popolare. La stessa teologia di oggi li valorizza, adottando moderne tecniche interpretative.
Quest’apocrifo, la Storia di Giuseppe, il Falegname (Ed Vozes, 1990) è ricco di informazioni su Gesù e Giuseppe. In realtà si tratta di un lungo racconto fatto da Gesù agli apostoli sulla vita di suo padre Giuseppe. Gesù inizia così. “Adesso ascoltatemi. Vi racconterò la vita di mio padre Giuseppe, il vecchio benedetto falegname”.
Gesù dunque narra che Giuseppe, vedovo, con sei figli, quattro maschi (Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda) e due femmine (Lisia e Lidia). Questo Giuseppe è mio padre secondo la carne. Con lui si unì, come consorte, mia madre Maria.
La narrazione descrive il turbamento di Giuseppe, quando incontrò Maria, gravida ma senza aver partecipato come uomo. Il racconto continua con la nascita di Gesù in Betlemme, la fuga in Egitto, e il ritorno in Galilea. Termina dicendo: ”Mio padre Giuseppe, il Vecchio benedetto, continuò a esercitare la professione di falegname e così col lavoro delle sue mani, potemmo mantenerci. Mai si potrà dire che mangiò il suo pane senza lavorare”.
Riferendosi a se stesso, Gesù dice “Io, per parte mia, Maria la chiamavo ‘mamma’ e Giuseppe lo chiamavo ‘papà. Ero obbediente in tutto quello che mi ordinavano senza mai permettermi di replicare una sola parola. Al contrario dimostravo loro grande affetto.
Continuando Gesù racconta che Giuseppe si era sposato la prima volta a 40 anni. Rimase sposato per 49 anni fino alla morte della sposa. Aveva dunque 89 anni. Rimase vedovo un anno. Dopo le nozze con Maria fino alla nascita di Gesù sarebbero passati tre anni. Giuseppe avrebbe dunque, 93 anni. Rimase con Maria 18 anni. Sommando tutto sarebbe morto a 111 anni: Dopo, con dettagli narra che suo padre “aveva perduto la voglia di mangiare e di bere; avvertì che stava perdendo le sue capacità artigianali per svolgere la sua professione”. Quando la morte sta per avvicinarsi, Giuseppe fa undici lamenti. E’ il momento in cui Gesù entra nella stanza e si rivela grande consolatore. Dice: “ti saluto o Giuseppe, mio caro papà vecchio buono e benedetto”. Al ché Giuseppe risponde : ”Salve, mio caro figlio mille volte benedetto. Udendo la tua voce, la mia anima ha ripreso forza e tranquillità”. In seguito, Giuseppe ricorda momenti della sua vita con Maria e con Gesù, persino il fatto di avergli tirato le orecchie e averlo ammonito: “Sii prudente figlio mio” perché nella scuola era molto vivace e provocava il rabbino.
Gesù intanto ci fa una confidenza: “Quando mio padre pronunciò queste parole, non potei contenere le lacrime e cominciai a piangere, vedendo che la morte se lo prendeva a poco a poco. “Io, miei cari apostoli, rimasi al suo capezzale e mia madre ai suoi piedi… per molto tempo strinsi la sua mano e i suoi piedi. Lui mi osservava supplicandoci di non abbandonarlo. Appoggiai la mia mano sul suo petto e compresi che la sua anima già era salita alla sua gola per lasciare il suo corpo”.
Vedendo che la morte tardava a venire Gesù fece una orazione forte al padre: “Padre mio misericordioso, Padre della verità, occhio che vede e orecchio che ascolta, ascoltami: sono tuo figlio carissimo; ti chiedo per mio padre Giuseppe, opera delle tue mani…Sii misericordioso con l’anima di mio padre Giuseppe, quando arriverà a riposare nelle tue mani perché questo è il momento in cui ha più bisogno della tua misericordia”. “Subito dopo esalò lo spirito e io lo baciai; io mi misi sopra il corpo di mio padre Giuseppe chiusi i suoi occhi e la sua bocca e mi alzai in piedi per contemplarlo”. Giuseppe ormai era morto.
Durante il funerale fa un’altra confidenza ai suoi apostoli: “Non seppi trattenermi e mi lanciai sul suo corpo e piansi a lungo”. Gesù termina facendo un bilancio della vita di suo padre Giuseppe:
“la sua vita è stata di 111 anni. Alla fine di tanto tempo, non aveva nemmeno un dente cariato e la sua vista non si era indebolita, tutto il suo aspetto pareva quello di un bambino. Non ha mai sofferto di nessuna indisposizione fisica. Ha lavorato continuamente nel suo laboratorio di falegname fino al giorno in cui sopravvenne la malattia che lo avrebbe portato alla morte”.
Alla fine della sua relazione Gesù lascia il seguente ordine: “quando sarete rivestiti della mia forza e riceverete lo Spirito Paraclito e sarete inviati a predicare il vangelo, pregate anche per Giuseppe mio padre”. Il libro che io ho scritto su San Giuseppe vuole rispondere a questo ordine di Gesù.
Per dire la verità lui rimase quasi dimenticato dalla chiesa ufficiale. Ma il popolo ne serbò il ricordo, mettendo il nome di Giuseppe ai figli, alle città, alle vie e alle scuole. Lui è il simbolo dei senza nome, dei senza potere e della chiesa degli anonimi.
*Leonardo Boff, teologo, ha scritto il libro: San Giuseppe di Nazaret, la personificazione del Padre, Citadella, 2006.
Traduzione di Romano Baraglia e Lidia Arato.
Nessun commento:
Posta un commento