Carlo Felici
Pare proprio
che il fronte degli eurofobi in Italia stia crescendo a vista d’occhio, tanto
da coinvolgere ormai uno schieramento trasversale che va allegramente da destra a sinistra,
passando per il populismo isolazionista schizoide dei grillini i quali strombazzano
contro l’euro a casa loro, ma cercano alleanze pro euro in Europa, salvo però
essere messi alla porta con molta solerzia ed essere ricacciati così tra gli stessi eurofobi inglesi di prima.
I linkaroli
eurofobi, nonostante anche Lafontaine abbia non poche difficoltà a far passare
nella sua stessa Linke la linea del ritorno al “serpentone monetario europeo”, che poi non sarebbe altro, in definitiva, che il modo migliore per sancire la
supremazia monetaria assoluta del marko redivivo, dopo il superamento della
crisi dovuta alla riunificazione tedesca, ebbene i nostri “imitatori” hanno
decisamente imboccato la via che segue l’ispirazione di un leader che, tra l’altro,
è stato tra quelli che hanno “inventato” l’euro pro domo loro.
Ma la moneta
unica è davvero il frutto avvelenato di una Europa perfida e assolutista?
Uscirne per chi ora è indebitato molto di più di quando entrò nell’eurozona, è
davvero un vantaggio?
Di fatto,
oggi, l’euro è la moneta più forte e solida nel mondo, e l’elezione di un
presidente eurofobo in America dimostra il palese affanno di una superpotenza
che, per stare al passo, non ha altra alternativa che stampare in continuazione
bigliettoni verdi
Ormai il
fronte della parità euro-dollaro è praticamente raggiunto e a guadagnarci non
saranno le esportazioni americane, ma quelle europee.
Trump è
destinato ad essere preda delle sue enormi contraddizioni date, ad esempio, dal
fatto che, se da una parte sostiene il protezionismo statunitense, dall’altra
deve appoggiare i colossi multinazionali che dal protezionismo non hanno mai tratto
alcun vantaggio.
Lo Yuan
giapponese è afflitto da una economia che sta soffocando sotto il peso del
debito sovrano più alto del mondo, senza per altro essere sostenuta da una
capacità di rifinanziarsi con titoli il cui rendimento è pressoché zero.
La sterlina,
dopo la Brexit, non è certo destinata ad un decollo, ma potrà sopravvivere senza colare a picco prevalentemente come moneta di una economia di scambi nel Commonwealth, il quale, per altro, in un panorama globalizzato e perennemente affamato di materie prime, non è certo un
rifugio competitivo rispetto ad una comunità economica come quella europea.
Quindi sarà solo questione di tempo, quello di definire le clausole definitive
di uscita dalla UE, e la sterlina diverrà presto una moneta archeologica.
L’euro oggi
è il principale capro espiatorio contro il quale, per distrarre l’attenzione da
altri perduranti mali, quali la corruzione politica, le mafie, la cronica
evasione fiscale, la incapacità di innovare ed investire, preferendo la
capitalizzazione speculativa dei profitti, si scagliano tutti i movimenti
estremisti e privi di autentica cultura economica e politica, dalla sinistra
alla destra, passando ovviamente per il marasma grillino. Tutti movimenti con forti spinte demagogiche al loro interno.
Eppure solo
questa moneta unica forte europea appare oggi l’unica garanzia che possa consentire
ancora di collocare gran parte degli stratosferici debiti pubblici che
affliggono ormai gran parte degli stati della UE e che, a causa della crisi
perdurante, non scendono ma sono in continua salita.
Ben nove
paesi della UE hanno ormai un debito pubblico superiore al 90% del PIL, e
addirittura 16, sono abbondantemente sopra il rovinoso parametro di Maastricht
(vera jattura del sistema economico europeo) di circa il 60%.
Cosa accadrebbe
ad essi senza una adeguata moneta che fosse credibile nei mercati
internazionali? Semplice, soltanto tenere in vita i titoli di tali debiti,
farebbe implodere come in un effetto domino le economie di molti paesi, perché
per attrarre compratori per piazzare tali titoli, destinati alla spazzatura
dell’economia globale, sarebbero necessari tassi di interesse da capogiro.
Solo un euro
forte come quello di oggi, ma non troppo più forte del dollaro, può consentire ancora
il collocamento di tali debiti che in certi casi avviene anche a tassi negativi,
e che consente pertanto ad essi una ristrutturazione a costo quasi zero.
E’ del tutto
evidente che se ricollocare debiti in scadenza con l’emissione di altri titoli,
porta a sostituirli con tassi più ridotti, allora il beneficio della riduzione
del debito procede di pari passo, e il risparmio complessivo in termini di
bilanci pubblici, risulta garantito.
Tutto questo
sparirebbe con un ritorno alle monete nazionali, anche in caso di loro
agganciamento ad una sorta di serpentone monetario, perché ogni moneta dovrebbe
rifinanziarsi con titoli di debito crescenti in maniera proporzionale al debito
e all’inflazione di ciascuno stato.
L’Italia,
con il suo debito soverchiante, ovviamente subirebbe gli attacchi speculativi più
grossi, così come è del tutto evidente che la sua permanenza nell’euro non
appare gradita a chi teorizza a tale proposito, una Europa a doppia velocità.
Ecco quindi
che il rigorismo si sposa con l’eurofobia, e la Merkel non appare più tanto
lontana da Lafontaine, in un gioco delle parti pro domo sua.
Una spinge l’acceleratore
verso il rigore che manda in affanno le economie più deboli, l’altro spinge
verso l’uscita dall’euro…ergo, come soluzione di compromesso si prospetta l’Europa
a doppia velocità, in cui i Paesi più deboli vengono spinti al margine e
costituiscono un serbatoio di servizi e strutture da privatizzare e da svendere
ai paesi più ricchi, garantendo un altro enorme giacimento di manodopera a basso costo
verso cui delocalizzare le attività produttive per ottimizzare i profitti.
Per noi
tornare alla lira significherebbe innalzamento immediato dello spread e
inflazione ad almeno due cifre. Inutile dire che a pagare sarebbero i più
deboli i quali, oltre a veder falcidiato il loro potere d’acquisto, vedrebbero il
loro “Stato sovrano” commissariato dal Fondo Monetario Internazionale, e
costretto a privatizzazioni e a svendite da incubo, con il risultato di servizi sempre più costosi e fatiscenti e con un divario crescente all’interno della stessa Italia tra aree
più sviluppate ed altre depresse, tale da mettere a serio rischio la stessa
unità nazionale.
Il paradosso
di tutto ciò sarebbe proprio che, per restituire sovranità e indipendenza all’Italia,
si creerebbero le basi per il suo sfaldamento e per la sua disunione.
Inutile dire
che a guadagnarci sarebbero solo coloro che per Patria hanno avuto ed avranno
sempre la Mammona del loro profitto, lecito o illecito che sia..
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