di Papa Francesco
QUESTIONE SOCIALE E QUESTIONE AMBIENTALE SONO INDISSOLUBILI NEL XXI SECOLO, LO CONFERMA IL DISCORSO DEL PAPA ALL'ONU.
FINALMENTE LA QUESTIONE GLOBALE ECOSOCIALISTA VIENE POSTA ALL'ATTENZIONE DEL MONDO.
Signor Presidente, Signore e Signori,
Ancora
una volta, seguendo una tradizione della quale mi sento onorato, il
Segretario Generale delle Nazioni Unite ha invitato il Papa a rivolgersi
a questa onorevole assemblea delle nazioni. A mio nome e a nome di
tutta la comunità cattolica, Signor Ban Ki-moon, desidero esprimerLe la
più sincera e cordiale riconoscenza; La ringrazio anche per le Sue
gentili parole. Saluto inoltre i Capi di Stato e di Governo qui
presenti, gli Ambasciatori, i diplomatici e i funzionari politici e
tecnici che li accompagnano, il personale delle Nazioni Unite impegnato
in questa 70.ma Sessione dell’Assemblea Generale, il personale di tutti i
programmi e agenzie della famiglia dell’ONU e tutti coloro che in un
modo o nell’altro partecipano a questa riunione. Tramite voi saluto
anche i cittadini di tutte le nazioni rappresentate a questo incontro.
Grazie per gli sforzi di tutti e di ciascuno per il bene dell’umanità.
Questa è la quinta volta che un Papa visita le Nazioni Unite.
Lo hanno fatto i miei predecessori Paolo VI nel 1965, Giovanni Paolo II
nel 1979 e nel 1995 e il mio immediato predecessore, oggi Papa emerito
Benedetto XVI, nel 2008. Tutti costoro non hanno risparmiato espressioni
di riconoscimento per l’Organizzazione, considerandola la risposta
giuridica e politica adeguata al momento storico, caratterizzato dal
superamento delle distanze e delle frontiere ad opera della tecnologia
e, apparentemente, di qualsiasi limite naturale all’affermazione del
potere. Una risposta imprescindibile dal momento che il potere
tecnologico, nelle mani di ideologie nazionalistiche o falsamente
universalistiche, è capace di produrre tremende atrocità. Non posso che
associarmi all’apprezzamento dei miei predecessori, riaffermando
l’importanza che la Chiesa Cattolica riconosce a questa istituzione e le
speranze che ripone nelle sue attività.
La storia della comunità organizzata degli Stati,
rappresentata dalle Nazioni Unite, che festeggia in questi giorni il
suo 70° anniversario, è una storia di importanti successi comuni, in un
periodo di inusitata accelerazione degli avvenimenti. Senza pretendere
di essere esaustivo, si può menzionare la codificazione e lo sviluppo
del diritto internazionale, la costruzione della normativa
internazionale dei diritti umani, il perfezionamento del diritto
umanitario, la soluzione di molti conflitti e operazioni di pace e di
riconciliazione, e tante altre acquisizioni in tutti i settori della
proiezione internazionale delle attività umane. Tutte queste
realizzazioni sono luci che contrastano l’oscurità del disordine causato
dalle ambizioni incontrollate e dagli egoismi collettivi. È sicuro che,
benché siano molti i gravi problemi non risolti, è però evidente che se
fosse mancata tutta quell’attività internazionale, l’umanità avrebbe
potuto non sopravvivere all’uso incontrollato delle sue stesse
potenzialità. Ciascuno di questi progressi politici, giuridici e tecnici
rappresenta un percorso di concretizzazione dell’ideale della
fraternità umana e un mezzo per la sua maggiore realizzazione. Rendo
perciò omaggio a tutti gli uomini e le donne che hanno servito con
lealtà e sacrificio l’intera umanità in questi 70 anni. In particolare,
desidero ricordare oggi coloro che hanno dato la lorovita per la pace e
la riconciliazione dei popoli, a partire da Dag Hammarskjöld fino ai
moltissimi funzionari di ogni grado, caduti nelle missioni umanitarie di
pace e di riconciliazione.
L’esperienza di questi 70 anni, al
di là di tutto quanto è stato conseguito, dimostra che la riforma e
l’adattamento ai tempi sono sempre necessari, progredendo verso
l’obiettivo finale di concedere a tutti i Paesi, senza eccezione, una
partecipazione e un’incidenza reale ed equa nelle decisioni. Tale
necessità di una maggiore equità, vale in special modo per gli organi
con effettiva capacità esecutiva, quali il Consiglio di Sicurezza, gli
Organismi finanziari e i gruppi o meccanismi specificamente creati per
affrontare le crisi economiche. Questo aiuterà a limitare qualsiasi
sorta di abuso o usura specialmente nei confronti dei Paesi in via di
sviluppo. Gli organismi finanziari internazionali devono vigilare in
ordine allo sviluppo sostenibile dei Paesi e per evitare l’asfissiante
sottomissione di tali Paesi a sistemi creditizi che, ben lungi dal
promuovere il progresso, sottomettono le popolazioni a meccanismi di
maggiore povertà, esclusione e dipendenza.
Il compito delle Nazioni Unite, a
partire dai postulati del Preambolo e dei primi articoli della sua
Carta costituzionale, può essere visto come lo sviluppo e la promozione
della sovranità del diritto, sapendo che la giustizia è requisito
indispensabile per realizzare l’ideale della fraternità universale. In
questo contesto, è opportuno ricordare che la limitazione del potere è
un’idea implicita nel concetto di diritto. Dare a ciascuno il suo,
secondo la definizione classica di giustizia, significa che nessun
individuo o gruppo umano si può considerare onnipotente, autorizzato a
calpestare la dignità e i diritti delle altre persone singole o dei
gruppi sociali. La distribuzione di fatto del potere (politico,
economico, militare, tecnologico, ecc.) tra una pluralità di soggetti e
la creazione di un sistema giuridico di regolamentazione delle
rivendicazioni e degli interessi, realizza la limitazione del potere.
Oggi il panorama mondiale ci presenta, tuttavia, molti falsi diritti, e –
nello stesso tempo – ampi settori senza protezione, vittime piuttosto
di un cattivo esercizio del potere: l’ambiente naturale e il vasto mondo
di donne e uomini esclusi. Due settori intimamente uniti tra loro, che
le relazioni politiche ed economiche preponderanti hanno trasformato in
parti fragili della realtà. Per questo è necessario affermare con forza i
loro diritti, consolidando la protezione dell’ambiente e ponendo
termine all’esclusione.
Anzitutto occorre affermare che
esiste un vero “diritto dell’ambiente” per una duplice ragione. In primo
luogo perché come esseri umani facciamo parte dell’ambiente. Viviamo in
comunione con esso, perché l’ambiente stesso comporta limiti etici che
l’azione umana deve riconoscere e rispettare. L’uomo, anche quando è
dotato di «capacità senza precedenti» che «mostrano una singolarità che
trascende l’ambito fisico e biologico» (Enc. Laudato sì, 81), è al tempo
stesso una porzione di tale ambiente. Possiede un corpo formato da
elementi fisici, chimici e biologici, e può sopravvivere e svilupparsi
solamente se l’ambiente ecologico gli è favorevole. Qualsiasi danno
all’ambiente, pertanto, è un danno all’umanità. In secondo luogo, perché
ciascuna creatura, specialmente gli esseri viventi, ha un valore in sé
stessa, di esistenza, di vita, di bellezza e di interdipendenza con le
altre creature. Noi cristiani, insieme alle altre religioni monoteiste,
crediamo che l’universo proviene da una decisione d’amore del Creatore,
che permette all’uomo di servirsi rispettosamente della creazione per il
bene dei suoi simili e per la gloria del Creatore, senza però abusarne e
tanto meno essendo autorizzato a distruggerla. Per tutte le credenze
religiose l’ambiente è un bene fondamentale (cfr ibid., 81).
L’abuso e la distruzione dell’ambiente,
allo stesso tempo, sono associati ad un inarrestabile processo di
esclusione. In effetti, una brama egoistica e illimitata di potere e di
benessere materiale, conduce tanto ad abusare dei mezzi materiali
disponibili quanto ad escludere i deboli e i meno abili, sia per il
fatto di avere abilità diverse (portatori di handicap), sia perché sono
privi delle conoscenze e degli strumenti tecnici adeguati o possiedono
un’insufficiente capacità di decisione politica. L’esclusione economica e
sociale è una negazione totale della fraternità umana e un gravissimo
attentato ai diritti umani e all’ambiente. I più poveri sono quelli che
soffrono maggiormente questi attentati per un triplice, grave motivo:
sono scartati dalla società, sono nel medesimo tempo obbligati a vivere
di scarti e devono soffrire ingiustamente le conseguenze dell’abuso
dell’ambiente. Questi fenomeni costituiscono oggi la tanto diffusa e
incoscientemente consolidata “cultura dello scarto”.
La drammaticità di tutta questa situazione di esclusione e di inequità,
con le sue chiare conseguenze, mi porta, insieme a tutto il popolo
cristiano e a tanti altri, a prendere coscienza anche della mia grave
responsabilità al riguardo, per cui alzo la mia voce, insieme a quella
di tutti coloro che aspirano a soluzioni urgenti ed efficaci. L’adozione
dell’ “Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile” durante ilVertice
mondiale che inizierà oggi stesso, è un importante segno di speranza.
Confido anche che la Conferenza di Parigi sul cambiamento climatico
raggiunga accordi fondamentali ed effettivi.
Non sono sufficienti, tuttavia, gli impegni assunti solennemente,
anche quando costituiscono un passo necessario verso la soluzione dei
problemi. La definizione classica di giustizia alla quale ho fatto
riferimento anteriormente contiene come elemento essenziale una volontà
costante e perpetua: Iustitia est constans et perpetua voluntas ius suum
cuique tribuendi. Il mondo chiede con forza a tutti i governanti una
volontà effettiva, pratica, costante, fatta di passi concreti e di
misure immediate, per preservare e migliorare l’ambiente naturale e
vincere quanto prima il fenomeno dell’esclusione sociale ed economica,
con le sue tristi conseguenze di tratta degli esseri umani, commercio di
organi e tessuti umani, sfruttamento sessuale di bambini e bambine,
lavoro schiavizzato, compresa la prostituzione, traffico di droghe e di
armi, terrorismo e crimine internazionale organizzato. È tale l’ordine
di grandezza di queste situazioni e il numero di vite innocenti
coinvolte, che dobbiamo evitare qualsiasi tentazione di cadere in un
nominalismo declamatorio con effetto tranquillizzante sulle coscienze.
Dobbiamo aver cura che le nostre istituzioni siano realmente efficaci
nella lotta contro tutti questi flagelli.
La molteplicità e complessità dei problemi
richiede di avvalersi di strumenti tecnici di misurazione. Questo,
però, comporta un duplice pericolo: limitarsi all’esercizio burocratico
di redigere lunghe enumerazioni di buoni propositi – mete, obiettivi e
indicatori statistici –, o credere che un’unica soluzione teorica e
aprioristica darà risposta a tutte le sfide. Non bisogna perdere di
vista, in nessun momento, che l’azione politica ed economica, è efficace
solo quando è concepita come un’attività prudenziale, guidata da un
concetto perenne di giustizia e che tiene sempre presente che, prima e
aldilà di piani e programmi, ci sono donne e uomini concreti, uguali ai
governanti, che vivono, lottano e soffrono, e che molte volte si vedono
obbligati a vivere miseramente, privati di qualsiasi diritto.
Affinché questi uomini e donne concreti
possano sottrarsi alla povertà estrema, bisogna consentire loro di
essere degni attori del loro stesso destino. Lo sviluppo umano integrale
e il pieno esercizio della dignità umana non possono essere imposti.
Devono essere costruiti e realizzati da ciascuno, da ciascuna famiglia,
in comunione con gli altri esseri umani e in una giusta relazione con
tutti gli ambienti nei quali si sviluppa la socialità umana – amici,
comunità, villaggi e comuni, scuole, imprese e sindacati, province,
nazioni, ecc. Questo suppone ed esige il diritto all’istruzione – anche
per le bambine (escluse in alcuni luoghi) – che si assicura in primo
luogo rispettando e rafforzando il diritto primario della famiglia a
educare e il diritto delle Chiese e delle altre aggregazioni sociali a
sostenere e collaborare con le famiglie nell’educazione delle loro
figlie e dei loro figli. L’educazione, così concepita, è la base per la
realizzazione dell’Agenda 2030 e per il risanamento dell’ambiente.
Al tempo stesso, i governanti devono fare tutto il possibile
affinché tutti possano disporre della base minima materiale e
spirituale per rendere effettiva la loro dignità e per formare e
mantenere una famiglia, che è la cellula primaria di qualsiasi sviluppo
sociale. Questo minimo assoluto, a livello materiale ha tre nomi: casa,
lavoro e terra; e un nome a livello spirituale: libertà dello spirito,
che comprende la libertà religiosa, il diritto all’educazione e gli
altri diritti civili.
Per tutte queste ragioni, la
misura e l’indicatore più semplice e adeguato dell’adempimento della
nuova Agenda per lo sviluppo sarà l’accesso effettivo, pratico e
immeditato, per tutti, ai beni materiali e spirituali indispensabili:
abitazione propria, lavoro dignitoso e debitamente remunerato,
alimentazione adeguata e acqua potabile; libertà religiosa e, più in
generale, libertà dello spirito ed educazione. Nello stesso tempo,
questi pilastri dello sviluppo umano integrale hanno un fondamento
comune, che è il diritto alla vita, e, in senso ancora più ampio, quello
che potremmo chiamare il diritto all’esistenza della stessa natura
umana.
La crisi ecologica, insieme alla
distruzione di buona parte della biodiversità, può mettere in pericolo
l’esistenza stessa della specie umana. Le nefaste conseguenze di un
irresponsabile malgoverno dell’economia mondiale, guidato unicamente
dall’ambizione di guadagno e di potere, devono costituire un appello a
una severa riflessione sull’uomo: «L’uomo non si crea da solo. È spirito
e volontà, però anche natura» (BENEDETTO XVI, Discorso al Parlamento
della Repubblica Federale di Germania, 22 settembre 2011; citato in Enc.
Laudato sì, 6). La creazione si vede pregiudicata «dove noi stessi
siamo l’ultima istanza [...]. E lo spreco della creazione inizia dove
non riconosciamo più alcuna istanza sopra di noi, ma vediamo soltanto
noi stessi» (ID., Incontro con il Clero della Diocesi di
Bolzano-Bressanone, 6agosto 2008, citato ibid.). Perciò, la difesa
dell’ambiente e la lotta contro l’esclusione esigono il riconoscimento
di una legge morale inscritta nella stessa natura umana, che comprende
la distinzione naturale tra uomo e donna (cfr Enc. Laudato sì, 155) e il
rispetto assoluto della vita in tutte le sue fasi e dimensioni (cfr
ibid., 123; 136).
Senza il riconoscimento di alcuni limiti etici naturali
insormontabili e senza l’immediata attuazione di quei pilastri dello
sviluppo umano integrale, l’ideale di «salvare le future generazioni dal
flagello della guerra» (Carta delle Nazioni Unite, Preambolo) e di
«promuovere il progresso sociale e un più elevato livello di vita
all’interno di una più ampia libertà» (ibid.) corre il rischio di
diventare un miraggio irraggiungibile o, peggio ancora, parole vuote che
servono come scusa per qualsiasi abuso e corruzione, o per promuovere
una colonizzazione ideologica mediante l’imposizione di modelli e stili
di vita anomali estranei all’identità dei popoli e, in ultima analisi,
irresponsabili. La guerra è la negazione di tutti i diritti e una
drammatica aggressione all’ambiente. Se si vuole un autentico sviluppo
umano integrale per tutti, occorre proseguire senza stancarsi
nell’impegno di evitare la guerra tra le nazioni e tra i popoli.
A tal fine bisogna assicurare il dominio incontrastato del diritto
e l’infaticabile ricorso al negoziato, ai buoni uffici e all’arbitrato,
come proposto dalla Carta delle Nazioni Unite, vera norma giuridica
fondamentale. L’esperienza dei 70 anni di esistenza delle Nazioni Unite,
in generale, e in particolare l’esperienza dei primi 15 anni del terzo
millennio, mostrano tanto l’efficacia della piena applicazione delle
norme internazionali come l’inefficacia del loro mancato adempimento. Se
si rispetta e si applica la Carta delle Nazioni Unite con trasparenza e
sincerità, senza secondi fini, come un punto di riferimento
obbligatorio di giustizia e non come uno strumento per mascherare
intenzioni ambigue, si ottengono risultati di pace. Quando, al
contrario, si confonde la norma con un semplice strumento da utilizzare
quando risulta favorevole e da eludere quando non lo è, si apre un vero
vaso di Pandora di forze incontrollabili, che danneggiano gravemente le
popolazioni inermi, l’ambiente culturale, e anche l’ambiente biologico.
Il Preambolo e il primo articolo della Carta delle Nazioni Unite
indicano le fondamenta della costruzione giuridica internazionale: la
pace, la soluzione pacifica delle controversie e lo sviluppo delle
relazioni amichevoli tra le nazioni. Contrasta fortemente con queste
affermazioni, e le nega nella pratica, la tendenza sempre presente alla
proliferazione delle armi, specialmente quelle di distruzione di massa
come possono essere quelle nucleari. Un’etica e un diritto basati sulla
minaccia della distruzione reciproca – e potenzialmente di tutta
l’umanità – sono contraddittori e costituiscono una frode verso tutta la
costruzione delle Nazioni Unite, che diventerebbero “Nazioni unite
dalla paura e dalla sfiducia”. Occorre impegnarsi per un mondo senza
armi nucleari, applicando pienamente il Trattato di non proliferazione,
nella lettera e nello spirito, verso una totale proibizione di questi
strumenti. Il recente accordo sulla questione nucleare in una regione
sensibile dell’Asia e del Medio Oriente, è una prova delle possibilità
della buona volontà politica e del diritto, coltivati con sincerità,
pazienza e costanza. Formulo i miei voti perché questo accordo sia
duraturo ed efficace e dia i frutti sperati con la collaborazione di
tutte le parti coinvolte.
In tal senso, non mancano gravi prove
delle conseguenze negative di interventi politici e militari non
coordinati tra i membri della comunità internazionale. Per questo,
seppure desiderando di non avere la necessità di farlo, non posso non
reiterare i miei ripetuti appelli in relazione alla dolorosa situazione
di tutto il Medio Oriente, del Nord Africa e di altri Paesi africani,
dove i cristiani, insieme ad altri gruppi culturali o etnici e anche con
quella parte dei membri della religione maggioritaria che non vuole
lasciarsi coinvolgere dall’odio e dalla pazzia, sono stati obbligati ad
essere testimoni della distruzione dei loro luoghi di culto, del loro
patrimonio culturale e religioso, delle loro case ed averi e sono stati
posti nell’alternativa di fuggire o di pagare l’adesione al bene e alla
pace con la loro stessa vita o con la schiavitù.
Queste realtà devono costituire un serio appello
ad un esame di coscienza di coloro che hanno la responsabilità della
conduzione degli affari internazionali. Non solo nei casi di
persecuzione religiosa o culturale, ma in ogni situazione di conflitto,
come in Ucraina, in Siria, in Iraq, in Libia, nel Sud-Sudan e nella
regione dei Grandi Laghi, prima degli interessi di parte, pur se
legittimi, ci sono volti concreti. Nelle guerre e nei conflitti ci sono
persone, nostri fratelli e sorelle, uomini e donne, giovani e anziani,
bambini ebambine che piangono, soffrono e muoiono. Esseri umani che
diventano materiale di scarto mentre non si fa altro che enumerare
problemi, strategie e discussioni. Come ho chiesto al Segretario
Generale delle Nazioni Unite nella mia lettera del 9 agosto 2014, «la
più elementare comprensione della dignità umana [obbliga] la comunità
internazionale, in particolare attraverso le norme e i meccanismi del
diritto internazionale, a fare tutto il possibile per fermare e
prevenire ulteriori sistematiche violenze contro le minoranze etniche e
religiose» e per proteggere le popolazioni innocenti.
In questa medesima linea vorrei citare un altro tipo di conflittualità,
non sempre così esplicitata ma che silenziosamente comporta la morte di
milioni di persone. Molte delle nostre società vivono un altro tipo di
guerra con il fenomeno del narcotraffico. Una guerra “sopportata” e
debolmente combattuta. Il narcotraffico per sua stessa natura si
accompagna alla tratta delle persone, al riciclaggio di denaro, al
traffico di armi, allo sfruttamento infantile e al altre forme di
corruzione. Corruzione che è penetrata nei diversi livelli della vita
sociale, politica, militare, artistica e religiosa, generando, in molti
casi, una struttura parallela che mette in pericolo la credibilità delle
nostre istituzioni.
Ho iniziato questo intervento ricordando le visite
dei miei predecessori. Ora vorrei, in modo particolare, che le mie
parole fossero come una continuazione delle parole finali del discorso
di Paolo VI, pronunciate quasi esattamente 50 anni or sono, ma di
perenne valore. «È l’ora in cui si impone una sosta, un momento di
raccoglimento, di ripensamento, quasi di preghiera: ripensare, cioè,
alla nostra comune origine, alla nostra storia, al nostro destino
comune. Mai come oggi [...] si è reso necessario l’appello alla
coscienza morale dell’uomo [poiché] il pericolo non viene né dal
progresso né dalla scienza: questi, se bene usati, potranno anzi
risolvere molti dei gravi problemi che assillano l’umanità» (Discorso ai
Rappresentanti degli Stati, 4 ottobre 1965). Tra le altre cose, senza
dubbio, la genialità umana, ben applicata, aiuterà a risolvere le gravi
sfide del degrado ecologico e dell’esclusione. Proseguo con le parole di
Paolo VI: «Il pericolo vero sta nell’uomo, padrone di sempre più
potenti strumenti, atti alla rovina ed alle più alte conquiste!»
(ibid.).
La casa comune di tutti gli uomini deve
continuare a sorgere su una retta comprensione della fraternità
universale e sul rispetto della sacralità di ciascuna vita umana, di
ciascun uomo e di ciascuna donna; dei poveri, degli anziani, dei
bambini, degli ammalati, dei non nati, dei disoccupati, degli
abbandonati, di quelli che vengono giudicati scartabili perché li si
considera nient’altro che numeri di questa o quella statistica. La casa
comune di tutti gli uomini deve edificarsi anche sulla comprensione di
una certa sacralità della natura creata.
Tale comprensione e rispetto esigono un grado superiore di saggezza,
che accetti la trascendenza, rinunci alla costruzione di una élite
onnipotente e comprenda che il senso pieno della vita individuale e
collettiva si trova nel servizio disinteressato verso gli altri e
nell’uso prudente e rispettoso della creazione, per il bene comune .
Ripetendo le parole di Paolo VI, «l’edificio della moderna civiltà deve
reggersi su principii spirituali, capaci non solo di sostenerlo, ma
altresì di illuminarlo e di animarlo» (ibid.). Il Gaucho Martin Fierro,
un classico della letteratura della mia terra natale, canta: “I fratelli
siano uniti perché questa è la prima legge. Abbiano una vera unione in
qualsiasi tempo, perché se litigano tra di loro li divoreranno quelli di
fuori”.
Il mondo contemporaneo apparentemente connesso,
sperimenta una crescente e consistente e continua frammentazione
sociale che pone in pericolo «ogni fondamento della vita sociale» e
pertanto «finisce col metterci l’uno contro l’altro per difendere i
propri interessi» (Enc. Laudato sì, 229).
Il tempo presente ci invita a privilegiare azioni
che possano generare nuovi dinamismi nella società e che portino frutto
in importanti e positivi avvenimenti storici (cfr Esort. ap. Evangelii
gaudium, 223). Non possiamo permetterci di rimandare “alcune agende” al
futuro. Il futuro ci chiede decisioni critiche e globali di fronte ai
conflitti mondiali che aumentano il numero degli esclusi e dei
bisognosi.
La lodevole costruzione giuridica internazionale
dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e di tutte le sue
realizzazioni, migliorabile come qualunque altra opera umana e, al tempo
stesso, necessaria, può essere pegno di un futuro sicuro e felice per
le generazioni future. Lo sarà se i rappresentanti degli Stati sapranno
mettere da parte interessi settoriali e ideologie e cercare sinceramente
il servizio del bene comune. Chiedo a Dio Onnipotente che sia così, e
vi assicuro il mio appoggio, la mia preghiera e l’appoggio e le
preghiere di tutti i fedeli della Chiesa Cattolica, affinché questa
Istituzione, tutti i suoi Stati membri e ciascuno dei suoi funzionari,
renda sempre un servizio efficace all’umanità, un servizio rispettoso
della diversità e che sappia potenziare, per il bene comune, il meglio
di ciascun popolo e di ciascun cittadino.
La benedizione dell’Altissimo, la pace e la prosperità a tutti voi e a tutti i vostri popoli. Grazie.
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