Leonardo Boff*
Si
parla quasi soltanto di crisi e, crisi delle crisi, quella della Terra e
della vita, minacciate di scomparsa, come ha accennato papa Francesco
nella sua enciclica su «La cura della casa comune». Ma tutto quello che
vive è segnato da crisi: crisi della nascita, della gioventù, della
scelta del partner o della partner per la vita, crisi della scelta della
professione, crisi del "demonio di mezzogiorno" come Freud chiamava la
crisi dei 40 anni quando ci accorgiamo che stiamo arrivando alla cima
della montagna e bisogna cominciare a scendere. E infine la grande crisi
della morte quando passiamo dal tempo all'eternità.
La
sfida posta a ciascuno non è come evitare le crisi. Esse sono inerenti
alla nostra condizione umana. La questione è: come affrontarle. Qual è
il loro insegnamento e come crescere con loro. Da qui passa il cammino
della nostra autorealizzazione e della nostra maturità come esseri
umani.
Ogni
situazione è buona, ogni luogo è eccellente per confrontarci con noi
stessi e tuffarci nella nostra dimensione profonda, per lasciare
emergere l'archetipo di base che portiamo con noi (quella tendenza di
fondo che sempre ci batte in testa e che attraverso di noi vuole farsi
vedere e fare la sua storia che è pure la nostra vera storia. Qui
nessuno può sostituire un altro. Ognuno sta solo. È un compito
fondamentale dell'esistenza. Ma, se è fedele in questo cammino, la
persona non sta più da sola. Ha costruito un Centro personale a partire
dal quale può incontrarsi con tutti gli altri viandanti. Da solitario
diventa solidario.
La
geografia del mondo spirituale è differente da quella del mondo fisico.
In questa i paesi si toccano ai confini. Nell'altra, al Centro.
L'indifferenza, la mediocrità, l’assenza di passione nella ricerca del
nostro IO profondo che ci distanzia dal nostro Centro e dagli altri e
così perdiamo le affinità, sembra che stiamo al loro fianco, in mezzo a
loro e pensando di stare al servizio loro.
Qual
è il miglior servizio che posso prestare alle persone? Essere me stesso
come essere di relazioni e per questo sempre legato agli altri, essere
che opta per il bene per sé e per gli altri, che si orienta con la
virtù, ama e ha compassione e misericordia.
La
realizzazione personale non consiste nella quantificazione delle
capacità personali che possono essere realizzate, ma nella qualità, nel
modo come facciamo bene quello che la vita, così com’è data, ci
richiede. La quantificazione, la ricerca di titoli, di corsi senza fine,
può significare in molte persone la fuga dall'incontro con il compito
della loro vita. Misurarsi con se stessi, con i nostri desideri, con i
nostri limiti, con i nostri problemi e con le sue positività e
negatività e integrarli in modo creativo. Fugge da vanterie per
l’accumulo di sapere insignificante, che fa insuperbire e allontana
dagli altri da quel che ci fa maturare per comprendere meglio noi stessi
e il mondo. Il linguaggio tradisce queste persone che dicono: sono io che so, sono io che decido. È sempre l'io e mai il noi o la causa, comunicata anche da altri.
La
realizzazione personale non è opera tanto della ragione che dis-corre
su tutto, ma dello spirito che è nostra capacità di creare visioni
d’insieme e mettere a posto le cose secondo ordine e valore. Spirito è
scoprire il senso di ogni situazione. Per questo è proprio dello spirito
la sapienza della vita, il vivere del mistero di Dio, decifrato in ogni
momento. È la capacità di essere tutto in tutto quello che fai.
Spiritualità non è né una scienza né una tecnica, ma un modo di essere
interamente in ciascuna situazione.
Il
primo compito da della realizzazione personale è accettare la nostra
situazione con i suoi limiti e possibilità. In ogni situazione c'è
tutto, non quantitativamente dis-teso, ma qualitativamente raccolto come
in un Centro. Entrare in questo Centro di noi stessi è incontrare gli
altri, tutte le cose e Dio. Per questo diceva l’antica sapienza
dell'India: "Se qualcuno pensa correttamente, raccolto nella sua
stanzetta, il suo pensiero è udito a migliaia di chilometri di
distanza". Se vuoi modificare gli altri comincia a modificare te stesso.
Questo
compito imprescindibile per una realizzazione personale è sapere
con-vivere con l'ultimo limite che è la morte. Chi dà senso alla morte,
dà senso anche alla vita. Chi non vede senso nella morte, nemmeno lo
trova nella vita. Morte però è più che ultimo istante o la fine della
vita. La vita stessa è mortale. In altre parole, stiamo morendo
lentamente, a rate perché quando siamo nati cominciamo già a morire, a
corromperci e a dare l'addio alla vita. Innanzitutto ci siamo staccati
dal ventre materno e per lui siamo già morti. Diamo
l’addio all’infanzia, all'adolescenza, alla gioventù, alla scuola, alla
casa paterna, all'età adulta, a qualcuno dei nostri compiti, a ogni
momento che passa e alla fine diamo l'ultimo saluto alla vita stessa.
Questo
addio è un lasciare indietro non soltanto cose e situazioni, ma sempre
un poco di noi stessi. Dobbiamo sparire, impoverirci e svuotarci. Qual è
il senso di tutto questo? Pura fatalità immodificabile? O non possiede
un senso segreto? Ci spogliamo di tutto, perfino di noi stessi
nell'ultimo momento della vita (morte), perché non siamo stati fatti per
questo mondo e nemmeno per noi stessi, ma per il Grande Altro che deve
riempire la nostra vita: Dio! Dio, nella vita, ci priva, a poco a poco
di tutto per riservarci più intensamente per sé. E, può perfino
toglierci la certezza se il tutto sia valsa la pena. Ma anche in questo
caso, persistiamo, fidandoci della Parola Sacra: "Se il tuo cuore ti
accusa, sappi che Dio è maggiore del tuo cuore" (cf.1Gv, 3,20). Chi
riuscirà a incorporare le negatività, anche se ingiuste, nel loro giusto
Centro, ecco chi avrà raggiunto il più alto grado di ominizzazione e di
libertà interiore.
Le
negatività e le crisi per le quali passiamo ci danno questa lezione:
spogliarsi e prepararsi per la totale pienezza in Dio. Allora come dice
il mistico San Giovanni della Croce: "Saremo Dio, per partecipazione".
*Leonardo Boff, columnist del JB on line
Traduzione di Romano e Lidia Baraglia
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