Cento anni fa era in corso la Grande Guerra, che fu la più grande
catastrofe che investì il continente europeo, destinandolo alla sua
marginalizzazione nel corso della sua storia futura, funestata da
altre guerre: la seconda guerra mondiale e la guerra fredda. Entrambe
rovinose ed entrambe destinate a mettere i popoli europei in
conflitto tra loro.
L'Unione Europea è nata con il presupposto di far finire
definitivamente questi conflitti nel nostro continente, ma sta
miseramente fallendo il suo obiettivo da tempo.
Da quando nella ex Jugoslavia, stragi, epurazioni e pulizie
etniche la videro impotente, fino ad oggi che tale storia si ripete
ai confini della Russia, con un conflitto civile in corso le cui le
vittime tra la popolazione inerme non accennano a cessare. In entrambe i casi, da più
di 20 anni a questa parte, la UE, senza un sostanziale ruolo politico
e militare autonomo, si è affidata e continua ad affidarsi alla sempre più
pesante tutela militare dell'alleato statunitense, all'interno di una
NATO tuttora dominata da esso, per marcare non solo i margini della
sua sicurezza, ma anche quelli della sua eventuale egemonia
finanziaria ed economica in un continente del tutto incapace di proporre una sua politica internazionale, o di svolgere opera di mediazione e di interposizione nei teatri in cui tuttora imperversa la guerra e che, oltre tutto, si sta
pericolosamente avvitando su se stesso.
Finita infatti la guerra calda e fredda tra i popoli, è iniziata
una guerra tanto subdola quanto rovinosa contro i popoli
europei, da parte di apparati finanziari e speculativi corrotti e
collusi a tutti i livelli con le peggiori mafie continentali, in nome
del principio: pecunia non olet et imperat super omnia.
A questo diktat sono state prostrate le economie continentali di
tutti i paesi che hanno aderito all'eurozona, con l'illusione che
finalmente ci fosse un equo ed unico sistema fiscale, che il debito
fosse equamente ripartito e che gli stipendi, sempre su base
continentale, fossero finalmente equiparati. Invece abbiamo avuto
l'esatto contrario. Il debito è diventato uno strumento di guerra
tra paesi ricchi e paesi poveri, gli stipendi falcidiati in nome di
una fantomatica crescita solo dei profitti per gli speculatori, ed il
sistema fiscale cade come una mannaia contro i popoli per
costringerli a svendere le loro risorse ed i loro risparmi alle
peggiori mafie colluse con gli apparati amministrativi e di governo. Questi mali non si sono manifestati in modo uniforme in
tutta l'Europa, ma in maniera più o meno aggressiva a seconda delle
condizioni endemiche di ciascun paese, ed ovviamente in quelli come
il nostro già da tempo afflitto dal cancro della corruzione e della
speculazione politico-mafiosa, stanno attualmente mettendo a serio
rischio la stessa tenuta non solo politica ma anche sociale del
tessuto nazionale.
La cosa più tragica attualmente in corso è che non si vedono
rimedi, perché nella nave che affonda oramai sembra imperare il “si
salvi chi può” e chi non può, ovviamente, schiatti.
Le cifre della moria economica ed anche umana di questo paese sono
ormai terrificanti,e appaiono persino peggiori di quelle, mutatis
mutandis, del primo dopoguerra, degli anni successivi alla Grande
Guerra, quando, anche se non destinata a rivoluzionare il
paese, come allora era necessario, una forte reazione politica e
sindacale almeno ci fu.
Oggi, nel desolante inverno delle spinoziane “passioni tristi”
è in atto solo un ripiegamento che sfocia in proteste e movimenti
protestatari del tutto incapaci di produrre politiche innovative ed
avviare socialmente il paese ad una vera svolta almeno di
sopravvivenza dignitosa.
L'ultimo atto di questa Caporetto del popolo italiano è
l'approvazione del Job Act. Una parola che è tutto un programma e
che anche simbolicamente riduce il lavoro, come valore, a impiego
fittizio, a “lavoretto” precario, sottopagato ed arbitrariamente
diretto dalle esigenze del mercato, del profitto e dei suoi
sacerdoti, vescovi e papi in quella che è ormai la Corte di
Versailles europea: la BCE, dove impera il diktat del nuovo
assolutismo contemporaneo: L'Europa sono Io. E io elargisco favori e
finanziamenti a chi voglio, anche se poi a giovarsene sono le mafie
territoriali e i loro referenti politici, ma non i popoli europei.
Contro tutto ciò ci si aspetterebbe una nuova primavera dei
popoli, una insurrezione generale continentale, fatta di scioperi di
lunga durata, di occupazioni, di proteste spontanee, di disobbedienze
civili e passive, di assedi ai palazzi istituzionali, coordinati
ovunque e simultanei in tutto il continente, più o meno come
scoppiarono le rivolte nel 1848.
Tuttavia ci troviamo al cospetto di una reazione misera, piccola, non di rado
meschina e del tutto speculare a tali dirompenti politiche.
Gli scioperi generali di un giorno. Vale a dire: curare una
metastasi con una aspirina, e per di più con la complicità dei
presunti “dottori”
Il caso emblematico di Epifani, a lungo segretario del sindacato
che oggi porta i lavoratori allo sciopero generale a “Babbo Natale
morto”, perché, essendo già stata votata dal parlamento questa legge iniqua, esso non avrà altro effetto che falcidiare le già
misere tredicesime dei lavoratori ormai senza più rinnovo
contrattuale né progressione di carriera, è emblematico. Lui, che
fino a qualche tempo fa incitava a scioperare e diceva che l'articolo
18 sarebbe rimasto esattamente come era stato creato, adesso,
divenuto parlamentare del partito che, praticando a lungo
l'antiberlusconismo, sta dimostrando di essere più berlusconiano
dello stesso Berlusconi, ha votato per lo stravolgimento completo
dell'articolo 18.
Tutto questo ricorda molto amaramente, tanto per tornare
all'inizio di questo intervento, l'atteggiamento dei generali della
Grande Guerra, gli stessi che mandavano allo sbaraglio i poveri fanti
e se ne restavano però al riparo, nemmeno a guardare la strage da
loro provocata, ma semplicemente a leggere i freddi bollettini di
guerra che enumeravano centinaia di migliaia di perdite per due zolle
di fango e di sangue rappreso. Oggi i segretari sindacali invece contano solo i partecipanti.
Non tutti nella Grande Guerra obbedirono, alcuni persino
disertarono, altri presero le armi contro i loro carnefici. Possiamo
biasimarli? Forse sì, se non ottennero altro che il plotone di
esecuzione. Sicuramente no, se, una volta organizzati, ottennero una
Rivoluzione e la fine di una inutile strage.
Purtroppo i veri rivoluzionari sono in Europa ormai una specie in
via di estinzione, il loro operato e soprattutto il loro esempio,
infatti, è stato sostituito dai “guardiani dei cancelli del
potere”. Quelli che, anziché rischiare la galera e l'epurazione,
vanno in giro per le piazze a fare i comici, a fare le conferenze
filosofiche, a sbandierare l'eurofollia dopo essersi candidati per
l'eurocomplicità. Sono gli anticapitalisti al soldo della macchina mediatica del
capitale. Buoni solo per un popolo assuefatto alla lobotomizzazione
della TV e del Web, oramai incapace persino di sollevare la testa
dall'hi pod, mentre cammina, a cui girano vorticosamente più i
pollici che i coglioni. Mentre un vero rivoluzionario ha sempre
parlato poco e agito molto, senza farsi minimamente pubblicità.
Anzi, persino morendo clandestino, come Mazzini.
E' un quadro desolante da gallinaro impazzito, più che da
preludio alle “galline in fuga”. In cui l'ennesimo sciopero
appare come un forsennato chicchirichì generale, prima che arrivi il
fattore di turno a torcere il collo a tutti i “polli”, per
arrostirli allo spiedo.
E' uscito un film mediocre sulla vita di Leopardi, che cede, come
in altri casi, ai luoghi comuni della deformità fisica e solo a
tratti, ci restituisce il clima e il tormento del poeta che più di
altri seppe essere “veggente del suo tempo”. Vi
vengono citate alcune poesie come l'Infinito e la Ginestra con belle
ambientazioni, ma è del tutto ignorata quella che era una
rappresentazione oggettiva, disincantata e spietata dell'Italia di
allora ed in cui Giacomo, tra l'altro, scrive:
Se
fosser gli occhi tuoi due fonti vive,
Mai non potrebbe il pianto
Adeguarsi al tuo danno ed allo scorno;
Che fosti donna, or sei povera ancella.
Chi di te parla o scrive,
Che, rimembrando il tuo passato vanto,
Non dica: già fu grande, or non è quella?
Perchè, perchè? dov'è la forza antica,
Dove l'armi e il valore e la costanza?
Chi ti discinse il brando?
Chi ti tradì? qual arte o qual fatica
O qual tanta possanza
Valse a spogliarti il manto e l'auree bende?
Come cadesti o quando
Da tanta altezza in così basso loco?
Nessun pugna per te? non ti difende
Nessun de' tuoi? L'armi, qua l'armi: io solo
Combatterò, procomberò sol io.
Dammi, o ciel, che sia foco
Agl'italici petti il sangue mio.
Mai non potrebbe il pianto
Adeguarsi al tuo danno ed allo scorno;
Che fosti donna, or sei povera ancella.
Chi di te parla o scrive,
Che, rimembrando il tuo passato vanto,
Non dica: già fu grande, or non è quella?
Perchè, perchè? dov'è la forza antica,
Dove l'armi e il valore e la costanza?
Chi ti discinse il brando?
Chi ti tradì? qual arte o qual fatica
O qual tanta possanza
Valse a spogliarti il manto e l'auree bende?
Come cadesti o quando
Da tanta altezza in così basso loco?
Nessun pugna per te? non ti difende
Nessun de' tuoi? L'armi, qua l'armi: io solo
Combatterò, procomberò sol io.
Dammi, o ciel, che sia foco
Agl'italici petti il sangue mio.
Mai nessuno che metta in evidenza il
fatto che quel povero giovane, isolato e schernito dalla gente e
dalla intellighenzia dell'epoca, proclamava, pur nella debolezza della
sua misera condizione fisica, di voler combattere per la sua patria,
e versare il suo sangue per essa, ben prima di quando lo versò il
poeta e martire Mameli. Anzi, tuttora si procede con il denigrare
l'unico patriota di allora che lo accolse, lo accudì e che non si
fece pavido di mostrare sia la sua grandezza che le sue debolezze: il
patriota Antonio Ranieri, che gli fu accanto sino alla morte.
Questo paese beghino e bigotto che
vorrebbe fare di Leopardi, in alcuni casi, persino un Giobbe postumo,
così come allora certuni cercarono di farne un gesuita, non
dimentichi la prolusione di un grande filosofo che seppe, per primo
rendere la sua poesia indissolubile dalla sua filosofia, nel primo
centenario della sua morte: Giovanni Gentile: “No; le parole, i
pensieri più o meno frammentari e sparsi, le sentenze assai spesso
felicemente formulate non possono essere per il critico altro che
accenni, spie dell'anima del Poeta. La cui individualità è
caratterizzata e, propriamente individuata da un certo atteggiamento
che è la concreta filosofia dell'uomo, quella che conferendo
all'uomo un carattere, non ci spiega tanto le sue parole, spesso
espressioni di cose pensate e non sentite, ma le azioni in cui l'uomo
opera come sente nel suo più intimo essere”
“Ηθος Ανθρωπῳ Δαιμων” diceva il grande
Eraclito. Il demone che anima l'uomo è il carattere che lo fa agire.
Questo demone pare abbia abbandonato oggi gli italiani, perché
essi stessi si sono ridotti ad essere privi di anima, privi di grandi
valori in cui credere, privi di idee, più intenti a rendersi merci
appetibili da offrire al profitto ed ai mercati. Come una terra un
tempo Felix, si riduce ad essere Inferno di Fuochi e di Veleni.
Ci vollero 100 anni da quella poesia di Leopardi alla fine della
Grande Guerra affinché l'Italia si sollevasse un poco dalle
ginocchia ai suoi primi passi, con il capo meno chino. Auguriamoci che ce
ne vogliano di meno affinché essa possa saper camminare speditamente
con le sue gambe, invece di azzopparsi definitivamente da sola.
Oggi è presa a calci e vilipesa da un cancro di corruzione e di
iniquità che è giunto ad aggredire persino il suo cuore e la sua
capitale.
Oggi ci vuole ben altro che lo sciopero del “Babbo Natale
morto”.
Ci vuole chi ami questo Paese più dei suoi soldi, di se stesso, della sua vita e persino della sua religione. Chi guardi oltre gli oceani ed oltre il futuro, non chi si rassegna ad imitare il peggiore passato nostro e di altri europei. Ci vogliono protagonisti della tempra di coloro che hanno fatto nascere lo Statuto dei Lavoratori, non miseri portaborse come quelli che sono stati complici dei suoi sicari.
Mediti su questo sia chi scenderà ancora una volta in piazza
facendosi impallinare per amor di dovere e disciplina, sia chi la
diserterà sconsolato, credendo che astenersi lo metta vanamente al
riparo dall'invasione dell'assolutismo finanziario cainamente e mafiosamente speculatore.
Il Piave non mormora più, ormai tace o... straripa.
C.F.
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