Il 90° anniversario del martirio di
Giacomo Matteotti, capita in Italia in un momento del tutto
particolare, per questo esso assume una rilevanza ancora maggiore
nella sua perenne testimonianza ai posteri.
Matteotti fu il primo a smascherare, in
maniera precisa e documentata la stretta collusione tra fascismo e
capitalismo, altri lo avrebbero fatto con il senno di poi. Pochissimi
ebbero il coraggio invece di resistere allora alla dilagante pletora
che tendeva a identificare il fascismo con una rivoluzione
proletaria.
Matteotti scrisse un libro prima di
morire: "Un anno di dominazione fascista", che circolò all'estero ma che in Italia, per ovvi motivi, non
si poté diffondere, e che, per un caso tanto strano quanto crudele
del destino, è tuttora di difficilissima reperibilità, essendo
stato ristampato solo nel 1980 e sotto forma di copia anastatica, da
una piccolissima casa editrice.
Esso è un'analisi puntualissima dei
meccanismi con cui il fascismo si stava impadronendo dello Stato, sia
sul piano politico economico e sociale, che su quello della
repressione, porta a porta, dei suoi oppositori. Narra infatti delle
riforme che tesero ad assecondare le classi che sostennero la sua ascesa e delle violenze quotidiane degli squadristi.
Nella sua introduzione è scritto a
chiare lettere:
“L'economia e la finanza italiana
nel loro complesso hanno continuato quel miglioramento e quella lenta
ricostruzione delle devastazioni della guerra che erano già
cominciati ed avviati negli anni precedenti; ma ad opera delle
energie sane del paese, non per gli eccessi o le stravaganze della
dominazione fascista, alla quale una sola cosa è certamente dovuta:
che i profitti della speculazione e del capitalismo sono aumentati di
tanto, di quanto sono diminuiti i compensi e le più piccole risorse
della classe lavoratrice e dei ceti intermedi, che hanno perduta
insieme ogni libertà e dignità di cittadini” Aggiungendo a
proposito dei profitti e dei salari che “se gli indici del
profitto capitalistico sono in aumento, se gli indici del caro-vita
sono in leggero aumento e se soltanto i salari sono in decisa
diminuzione, la conclusione è che l'attuale regime fascista non ha
portato alcuno straordinario miglioramento nel complesso nazionale
della economia; ma ha innovato soltanto in questo: che la
ricostruzione economica si continua a compiere, ma a spesa esclusiva
delle classi inferiori”
Matteotti più di altri, proprio per il
gusto e la meticolosità che aveva nel preparare i suoi interventi
parlamentari con una ricchissima documentazione, smaschera tutte le
velleità del regime nascente, mostrando come esso sia in palese
opposizione a ciò che aveva dichiarato con il nascere, e cioè con i
principi del Sansepolcrismo e del programma dei Fasci di
Combattimento.
Tra le numerose e palesi opposizioni
che il fascismo fece in primis a se stesso salta agli occhi quella
sulla politica tributaria. Nel 1919 Mussolini aveva dichiarato che
“uno dei principali postulati del programma fascista è la
decimazione della ricchezza, la confisca dei sovraprofitti di guerra
e una forte imposta sul capitale”, mentre, una volta salito al
potere, non esitava a indicare come “stupidissima l'imposta sul
capitale”
Era ovvio che il fascismo e il suo duce
non potessero che favorire i loro mentori, i loro principali
finanziatori. Quello che era un po' meno ovvio era che ne subissero
prima o poi i ricatti, le malversazioni fino a restarne ostaggio più
o meno in permanenza.
Matteotti aveva intenzione di
proseguire con tali denunce, mediante una documentazione che aveva
raccolto anche all'estero, clandestinamente, e che avrebbe fatto luce
su quella che era una vera e propria tangentopoli dell'epoca.
riguardante traffici di armi, riciclaggio di danaro e concessioni
petrolifere, oltre che altre forme varie di speculazione, tanto
estese e ramificate, non solo da coinvolgere i grandi gruppi
finanziari ed industriali di allora finanziatori del fascismo, ma
persino la stessa famiglia del duce e la monarchia. Su tutto ciò la
documentazione degli storici è oramai piuttosto ampia.
Non è dunque tanto importante capire
tuttora se concretamente Mussolini fu o no il vero mandante
dell'omicidio di Matteotti o se si volesse ucciderlo, o dargli una
lezione. Quello che resta fondamentale è che Mussolini non poté e
all'inizio nemmeno volle tentare di dimostrare una sua estraneità a
quel crimine, assumendosi pienamente la responsabilità dell'accaduto
in un famoso discorso che, di fatto, inaugurò la sua dittatura,
ponendo fine alle residue illusioni che essa potesse mantenersi
all'interno di parvenze democratiche. Mussolini non poteva non sapere
e anzi, su quel fatto conservò una scrupolosa documentazione rimasta
segreta fino alla sua cattura finale a Dongo e poi misteriosamente
scomparsa. Non era certo tale da scagionarlo, ma sicuramente sufficiente per provare di non essere stato lui l'unico a voler far tacere l'eroico
parlamentare socialista, che ben sapeva ciò che rischiava e che
aveva già detto ai suoi compagni di preparare la sua orazione
funebre. L'unico giornalista, anch'egli condannato alla damnatio
ristampae, coraggioso e controcorrente, che cercò di squarciare il
velo, e, per primo, quanto di cainamente speculatore avesse pugnalato
Matteotti, prima ancora degli sgherri sicari che lo aggredirono, fu
Carlo Silvestri, tanto tenace nel denunciare il fascismo nascente,
quanto ostinato nel voler far piena luce, in quello morente, su ciò
che nella tomba esso si sarebbe portato via, condannandolo così ad un
perenne silenzio.
Perché oggi il momento in cui cade
questo anniversario è tanto particolare? Beh, se qualcuno mentre ho
menzionato le critiche espresse da Matteotti allora, avesse già
fatto mente locale sulla realtà di oggi, e non solo a livello
nazionale, ma europeo, avrebbe sentore che un regime, anche se
più subdolamente astuto di allora, già tende non solo ad affermarsi
ma persino a consolidarsi su scala transnazionale, e per di più
anche ad espandersi, senza tema di usare anche mezzi brutali,
soprattutto nell'Europa dell'est.
Possiamo infatti dire che le condizioni
dei salari e dei lavoratori sono migliorate o tendono a migliorare in
Europa? Possiamo affermare serenamente che le tendenze cainamente
speculatrici sono fermamente combattute e messe sotto il controllo di
rigide regole democratiche?
Che la politica prevale sull'economia
del turbocapitalismo? Possiamo dedurre senza tema di smentita, che
l'Europa e l'Italia si stanno dotando di sistemi fiscali equi,
progressivi e soprattutto uniformi e condivisi, come la moneta unica,
su tutto il continente? Possiamo credere che il debito degli stati
oggi non venga usato come allora veniva praticato il verbo del
manganello? Che non più singole persone, ma interi popoli sfuggano
alla mannaia che taglia loro i beni comuni essenziali senza i quali
non è neanche immaginabile di poter sopravvivere? Casa ipertassata,
scuole ridotte in macerie, ospedali fatiscenti, trasporti senza più
adeguate norme di sicurezza, pensionati che pagano tasse più di
tutti gli altri.. Cosa c'è di socialista in un programma che porta
il titolo di una commedia dell'assurdo: Job acts e che persegue lo
scopo di stabilizzare la precarietà e la desertificazione del futuro
delle giovani generazioni? Cosa di Socialista nel perdurare di una
legge Fornero che manda in un limbo di rottamazione lavoratori
“esodati” coperti nel loro tragitto dal rosso mare della
disperazione da mancanza di lavoro e di pensione? Cosa nel condannare
un lavoratore ad andare a lavorare fin quando gli sono caduti non
solo tutti i capelli, ma anche tutti i denti e tutte le speranze di
godersi ancora in salute un meritato riposo? Una privatizzazione
selvaggia e dirompente oggi fa le veci di quella che allora era la
gerarchia della repressione del dissenso. Chi non si adegua, perde
lavoro, casa, affetti, tutto, compresa la sua identità. Forse
nemmeno il fascismo seppe allora arrivare a tanto..
A 90 anni dalla morte di Matteotti
abbiamo avuto il paradosso di elezioni europee che hanno visto
vincere in Italia quello che è attualmente il partito più grande
del PSE, ma che ha proposto una legge elettorale più restrittiva e
maggioritaria della stessa legge fascista Acerbo, con cui Matteotti e
Gramsci furono eletti. Ebbene oggi, se tale legge fosse approvata,
Matteotti non sarebbe più eletto, sarebbe dunque zittito in
partenza, risparmiando ai suoi assassini la fatica di rapirlo e massacrarlo di botte.
Possiamo immaginare che il socialismo
che egli aveva allora immaginato e per il quale aveva lottato, possa
consistere nello svuotamento della sovranità popolare e che un ramo
del parlamento, con poteri di riforma costituzionale, sia costituito
da una congrega di eletti e non più da un re, come nello Statuto
Albertino, ma dalle più variegate e stravaganti lobbies locali?
L'Italia agonizza nella corruzione e
nella collusione tuttora strettissima tra affari malavitosi e
amministrazioni locali complici e corrotte. Su questo l'Europa
dovrebbe essere inflessibile, ma di quale Europa stiamo parlando? Non
certo di quella che sognavano Garibaldi, Mazzini, Spinelli e anche
Matteotti, quanto piuttosto di quella che pratica il verbo della
“pecunia non olet”..meno lavoro ma più tasse per tutti ed immigrati con costi ognuno
per ciascuno.. .E che ormai, date le risultanze elettorali della
Francia e dell'Inghilterra, paesi non proprio marginali nella storia
del nostro continente, tende seriamente a minacciare se stessa.
Allora, di fronte a tutto, ciò io
cerco di immaginare cosa potrebbe dire oggi Matteotti, qui, ora col
suo Spirito Immortale, specialmente alle nuove generazioni e
soprattutto a coloro che non hanno mai smesso di avere fede
socialista, si badi, fede non solo a parole, ma soprattutto nella
prassi.
Ecco, così mi tornano alla mente le
sue parole profetiche del 3 Agosto del 1912 con cui concludo il mio
intervento:
“E oggi che i democratici nel
parlamento hanno perduto ogni fisionomia, imbracandosi nel gregge
giolittiano (i nomi cambiano ma certa prassi trasformista resta),
oggi che milioni di nuovi elettori son chiamati alle urne, noi
dobbiamo dire alta e chiara e limpida la nuova parola di socialisti.
Oggi dobbiamo ricostruire quella
unità morale e politica del proletariato, che minacciava di
rompersi; a costo anche di qualche sacrificio delle nostre ideologie,
sacrificio momentaneo, perché sta in noi di preparare nel partito
quella mentalità equa, la quale riduca ormai le questioni di
tendenza a semplici questioni tecnico pratiche, di metodo da usarsi
in una data situazione.
Che fanno invece i fuoriusciti? Col
pretesto della necessità di mantenere unite in blocco le forze
popolari contro le forze ora più che mai minacciose della reazione e
del clericalismo (oggi diremmo del populismo), sbloccano e scindono quel partito socialista, che
pur essi dicono essere stato, in ogni caso, del nucleo, il baluardo
più saldo, il propulsore più ardente. Per opera loro, adunque alla
scissione non si ripara, ma anzi s'aggrava, perché resta isolato
proprio il manipolo più battagliero, perché si vuole magari il
vantaggio democratico a prezzo del danno socialista.
Dov'è più allora il nostro
Socialismo?”
E chi ha orecchie per intendere
intenda, chi ha occhi per vedere, li apra, e chi ha voce per farsi udire,
gridi!
Viva il Socialismo! Viva Matteotti!
Carlo Felici
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