Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo

Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo
Garibaldi, pioniere dell'Ecosocialismo (clickare sull'immagine)

mercoledì 31 luglio 2013

NUMQUAM IGNORANTIA LEGIS NEQUE MAGISTRATUM EXCUSAT (ordine pubblico oppure ordine sociale?)






Nel mio ultimo intervento sulla Val di Susa dicevo che se la situazione non è degenerata, ciò è stato dovuto anche al fatto che nel cantiere erano presenti dei magistrati e che ciò andava riconosciuto senza se e senza ma, inoltre che tale lotta avrebbe dovuto svolgersi in maniera pacifica e con la partecipazione corale di tutte le amministrazioni locali, a dimostrazione che questa è una sacrosanta lotta popolare e non di frange estremiste.
Non sono stato evidentemente io l'artefice del fatto che questa svolta di partecipazione massiccia e popolare c'è stata secondo quelli che erano anche i miei auspici, ma chi, probabilmente, si è trovato alquanto sbilanciato da tutto ciò, e non ha potuto più autolegittimarsi come unico tutore dell'ordine e della pace costituita, mediante la sua necessità di “sorvegliare e punire” si è giocato un'altra carta.
Di qui la reazione scomposta nel definire terroristica e con fini eversivi l'azione dei dimostranti in lotta, per giustificare arresti e perquisizioni che però non hanno portato a riscontrare nulla di concretamente sovversivo.
Il "Cui prodest?" è consequenziale e conferma quello che avevo già messo in risalto in precedenza: si vuole alzare il tono dello scontro e dei media, per suscitare un clima da anni di piombo che giustifichi provvedimenti libertici emergenziali, tirando fuori l'articolo 270 del Codice Penale che riguarda le attività per fini terroristici e non gli articoli 624-649 del medesimo codice che riguardano i reati contro il Patrimonio Pubblico (sempre ammesso e concesso che pubblico sia ciò che sta nel cantiere e non di ditte private) o addirittura più semplicemente l'articolo 635 che riguarda il reato di danneggiamento. Ovviamente, sempre considerando ciò che concretamente è accaduto nella notte delle proteste.
Ma cosa dice effettivamente l'articolo 270 bis del codice penale, come sostituito dall'articolo 1 della legge 15 dicembre 2001 n.438 ? E' presto detto:
Chiunque promuove, costituisce, organizza, dirige o finanzia associazioni che si propongono il compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico è punito con la reclusione da sette a quindici anni. Chiunque partecipa a tali associazioni è punito con la reclusione da cinque a dieci anni. Ai fini della legge penale, la finalità di terrorismo ricorre anche quando gli atti di violenza sono rivolti contro uno Stato estero, un'istituzione e un organismo internazionale. Nei confronti del condannato è sempre obbligatoria la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne costituiscono l'impiego"
Nel merito di tale questione abbiamo anche l'articolo 280 che così recita e che pare sia stato contestato ad alcuni attivisti:
"Articolo 280. Attentato per finalità terroristiche o di eversione. Chiunque, per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico attenta alla vita od alla incolumità di una persona, è punito, nel primo caso, con la reclusione non inferiore ad anni venti e, nel secondo caso, con la reclusione non inferiore ad anni sei.
Se dall’attentato alla incolumità di una persona deriva una lesione gravissima, si applica la pena della reclusione non inferiore ad anni diciotto; se ne deriva una lesione grave, si applica la pena della reclusione non inferiore ad anni dodici.
Se i fatti previsti nei commi precedenti sono rivolti contro persone che esercitano funzioni giudiziarie o penitenziarie ovvero di sicurezza pubblica nell’esercizio o a causa delle loro funzioni, le pene sono aumentate di un terzo.
Se dai fatti di cui ai commi precedenti deriva la morte della persona si applicano, nel caso di attentato alla vita, l’ergastolo e, nel caso di attentato alla incolumità, la reclusione di anni trenta.
Le circostanze attenuanti concorrenti con le circostanze aggravanti previste nel secondo e quarto comma non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste (1)."

In tutti i casi abbiamo due termini specifici che rendono del tutto peculiare la "finalità": “terrorismo ed eversione dell'ordine democratico” sui quali vale la pena di soffermarsi. Non esiste una definizione giuridica internazionalmente condivisa del termine, data la indeterminatezza della “illiceità” che esso sottintende. Terrorismo è infatti una definizione polemica di contrasto a chi mette in atto azioni eclatanti particolarmente feroci e disumane, che, per la loro efferatezza, non possono non includere anche vittime. Di conseguenza il terrorista viene assimilato ad una sorta di criminale assassino con finalità eversive.
Dati i fatti, l'accusa risponde concretamente alle azioni riscontrate? Le vittime "con lesioni gravissime" ci sono? Si è "attentato" a degli oggetti o a "delle persone"?
C'è inoltre da rilevare che questo articolo è stato introdotto proprio per la pericolosa valenza internazionale del reato di terrorismo. Esistono concretamente dei collegamenti o le prove “internazionali” che possono indicare che il reato è effettivamente corrispondente al capo d'accusa?
La questione della definizione di terrorismo costituisce, per questo, il presupposto di qualsiasi analisi di diritto internazionale condotta in tale ambito: ad esempio se gli atti di terrorismo siano in sé 'illegali' secondo il diritto internazionale, e su quali basi; in quali circostanze uno Stato - vittima possa, per esempio, “legalmente” rispondere con le armi ad atti di terrorismo e nei confronti di chi, o a livello individuale o per quel che concerne uno Stato.
Questo il capo d'accusa non lo spiega: siamo sotto attacco internazionale? E da parte di chi? Quali sono gli organismi eversivi, dato che l'articolo parla esplicitamente di “associazioni”? Quali le loro connotazioni politiche? I loro volantini di rivendicazione?
Passiamo poi alla questione dell'ordine democratico che il terrorista attacca esplicitamente secondo il menzionato articolo. I fatti della Val di Susa riguardano l'ordine democratico o l'ordine pubblico? Perché se di ordine pubblico si tratta, allora vige l'articolo 650 del Codice penale, non l'articolo 270 bis.
Come si sarebbe terrorizzato l'ordine democratico? Danneggiando un cantiere? E da quando in qua un cantiere rappresenta le istituzioni democratiche?
Da quando in qua le istituzioni democratiche di un paese sono rappresentate dalla necessità di bucare una montagna o da gru e megatalpe?
Le forze di polizia presenti in quel territorio tutelano l'ordine pubblico o le istituzioni democratiche?
Questo è un punto assai delicato e cruciale, specialmente se si considera il reiterato uso di reparti antisommossa per questioni che sono preponderantemente di ordine sociale, più che criminale in senso stretto.
E la criminalizzazione dei conflitti sociali è molto pericolosa per una democrazia che voglia restare tale
Ecco, tornando al famoso “cui prodest?”, che la questione non è tanto giuridica ma resta strettamente strumentale, per montare un caso a cui i media monopolizzati diano risalto, per spingere l'opinione pubblica ad avere paura delle proteste e dell'azione, non questa volta di pochi sparuti ma feroci ed assassini gruppi, bensì di un popolo, in cui, come accade durante le proteste, non di rado si infiltrano pure frange violente fuori controllo.
Siamo dunque “tutti terroristi” come campeggia nello slogan della pacifica popolazione di Bussoleno?
O siamo piuttosto tutti vittime di un attacco alla democrazia rappresentata, in primis, dalle organizzazioni territoriali democraticamente elette?
La giurisprudenza, in ogni caso, parla chiaro. Ignorantia legis non excusat nemmeno un magistrato.
Per questo il nostro auspicio resta sempre che a prevalere sia la consapevolezza, il dialogo, il rispetto scrupoloso della legalità, e, per di più, la concretezza del progettare e dell'agire politico che non può non essere legittimato, in una democrazia, solo dal largo consenso popolare.
Se ciò non dovesse accadere, dovremmo rassegnarci alla perdita della libertà e della democrazia, e lottare duramente per recuperarla, non sarebbe la prima volta nella storia, è già accaduto quando i partigiani della Val di Susa venivano sdegnosamente chiamati “banditi”
Anche allora la lotta durò a lungo..però si sa bene come è finita. E non dubitiamo che quel popolo, oggi come allora, sia sempre lo stesso.
C.F.

Una "zanzara" per Diego Fusaro (l'inoculazione della libertà)




                                                 
                                              di Carlo Felici

Il titolo di questo mio intervento già parla da solo: una zanzara non è un tafano, come poteva esserlo Socrate, forse può essere altrettanto fastidiosa, ma sicuramente risulta meno pericolosa e più facilmente eliminabile, e con ciò voglio significare scherzosamente che non pretendo certo di confrontarmi con il pensiero di Fusaro in senso ermeneutico, storico o tanto meno filologico, per fare questo bisognerebbe scrivere altrettanti libri rispetto a quelli che lui ha scritto e sta ancora scrivendo.

Guai, però, se la critica fosse riservata solo agli “accademici”, se cioè una democrazia (sempre ammesso e non concesso che di democrazia ancora si possa parlare quando si parla la lingua italiana oggi) non lasciasse alzare in piedi qualcuno a “dire la sua”..bella o brutta che sia, straordinariamente acuta o pietosamente ignorante che possa mostrarsi.

E quindi lungi da me il voler scrivere le “brevi note sull'universo fusariano”, io Diego, contrariamente a coloro che lo hanno scoperto solo ora, magari senza averlo mai letto, o a cui sembra (lo dico scherzosamente) l'ultimo profeta del pensiero libertario, lo conosco da quando muoveva i primi passi nel suo sito, di “piccolo appassionato della filosofia” e ci si incontrava lì, in un forum artigianale di filosofico.net, che non aveva né l'appeal e tanto meno la straordinaria eco mediatica delle piazze o delle televisioni a cui si rivolge ora il nostro caro Diego.

L'ho visto quindi crescere e progressivamente uscire, lanciandosi fuori da quello che lui stesso ha definito, seguendo la metafora lukàcciana: il “Grand Hotel Abisso”, in cui sicuramente i filosofi accademici e di stretta marca professionale, più che avvertire la vertigine del “burrone”, continuano ad “imburrare” le loro colazioni quotidiane.

Fu lui stesso, nell'ultima circostanza in cui ci siamo incontrati, ad esortarmi ad essere “cattivissimo” con lui, memore del fatto che, in ogni caso, la mia stima nei suoi confronti, non sarebbe mutata di un millimetro.

Ovviamente di essere “cattivissimo” non mi riesce nemmeno con il mio “peggior nemico” sempre ammesso e non concesso che ce ne sia qualcuno, mentre resto serenamente seduto sull'argine sinistro della storia, ma può darsi lo stesso che qualcuno prima o poi, passi anche di là, magari galleggiando tra una crisi ed un' altra..politica..giudiziaria..sociale..economica..basta solo avere un po' di pazienza, ovviamente non troppa. E quindi figuriamoci se posso esserlo con chi ho visto crescere passo dopo passo, come cresce un figlio..e lungi da me ogni accento paternalista.

Bene, adesso ho smesso di gironzolare e di fare..zzzzzzzzz..vediamo dunque di fare almeno qualche punturina..

Allora, la prima questione riguarda Marx (delle altre magari mi occuperò in un altro intervento), o meglio sarebbero tante le questioni di cui parlare, in merito all'interpretazione di Diego, a me ne sta a cuore una: quella della coscienza e lotta di classe, di cui mi pare che Diego non abbia fornito una particolare trattazione.

In particolare nelle pagine 290-291 del suo libro: “Bentornato Marx”, Diego ci dice che “la prospettiva marxiana, che sembra nutrirsi di un ingenuo ottimismo positivistico, nei confronti della scienza e della tecnologia, è stata adeguatamente superata dagli scrittori della scuola di Francoforte che l'hanno sottoposta a critica muovendo in particolare dall'analisi dei mass media”.

E ciò nonostante poco prima lo stesso Diego citi Marx quando afferma che: “le macchine non cesseranno di essere agenti della produzione sociale quando diventeranno, per esempio, proprietà degli operai associati”

Come è facilmente possibile capire, il passaggio dalla analisi di Marx rispetto alle prospettive future e non escatologiche del suo pensiero, e soprattutto rispetto agli esiti seguiti dalla tecnica e dalla scienza è proprio nel fatto che tale tecnica e tale scienza non sono gestite da una comunità (che oggi ovviamente non potrebbe, mutatis mutandis, essere più solo quella degli operai), ma da un gotha di potere che però persegue le stesse finalità di quelle a cui tendeva ai tempi di Marx.

In poche parole, l'autopotenziamento della scienza e della tecnica avviene tuttora (come ai tempi di Marx) per fini di profitto, ed ha come precondizione la riduzione dell'essere umano e della natura a merce per perseguire tale scopo.

Cosa c'è quindi che Diego considera ottimistico in Marx e che invece era solo “programmatico”, anche se tuttora irrealizzato? Appunto una coscienza e una lotta di classe, ottenute e condotte per fini rivoluzionari, per conseguire cioè una emancipazione umana che contraddica l'orizzonte tecnocratico che i vari sacerdoti del contingente, da Heidegger a quelli dei rotocalchi femminili, danno per inamovibile, quello che lo stesso Diego smaschera come capitalismus sive natura (o tecnicismus sive natura..è lo stesso)

Diego prosegue la sua analisi nelle pagine successive mettendo in risalto che “per questa via, contro ogni senso comune, il comunismo rappresenta il trionfo dell'individuo affrancato da ogni vincolo e finalmente posto nelle condizioni di un libero sviluppo all'interno di rapporti razionali con i propri simili”, e non possiamo che concordare con ciò che smentisce seccamente il fatto che Marx sia l'ispiratore di una società totalitaria che asservisce l'individuo allo Stato e alla sua nomenklatura di potere.

Però, ed ecco la domanda da un milione di dollari..(dico dollari perché l'euro a Diego piace poco..ma di questo parleremo poi..)..come si arriva a tutto ciò?

Ecco il punto dolente che forse, oggi, è più necessario capire: siamo arrivati alla soluzione, o meglio alla enumerazione scientifica, partendo dalla evidenza, ma saltando a piedi pari il metodo di analisi e della sintesi del processo di lotta necessario per conseguirla.

In effetti, nelle sue varie e pregevolissime conferenze pubbliche, a cui i sacerdoti del contingente o si sottraggono o per le quali essi non vogliono essere contraddetti, oppure  lautamente remunerati, a Diego, mi pare a Leuca, qualcuno ha provato a chiedere se esiste una alternativa, se esiste un modo per uscire dalla cosiddetta “gabbia di ferro” della meteorologia turbocapitalista, ma egli si è limitato a rispondere che una adeguata coscienza del mondo in cui si vive e si opera è già una valida alternativa..può bastare?

L'ardua risposta non vorremmo fosse consegnata necessariamente ai posteri, mentre oggi resta saldamente in mano ai poteri, dato che la crisi, purtroppo, sta facendo già moltissime vittime, specialmente tra coloro che difficilmente potranno permettersi di partecipare ad un dibattito filosofico, ma che pur restano essi stessi portatori di una cultura e di una filosofia le quali, gramscianamente, non si negano a nessuno.

Karl Mannheim, in Sociologia sistematica. Introduzione allo studio della società, 1967 ci spiega molto bene la differenza che passa tra Coscienza di classe e "falsa coscienza" in Marx:

"L'esistenza di interessi di classe non significa che di essi si rendano sempre conto i membri della classe medesima. Si può appartenere ad una classe, secondo Marx, perché si è salariati, ma se si è piccoli impiegati, verosimilmente si cela a se stessi il fatto di essere salariati e si sposano gli interessi ed i pregiudizi della classe capitalista. In questo caso, dice Marx, si ha "una falsa coscienza", ed è solo attraverso il chiarimento e la propaganda che potrà essere compresa la reale posizione nella società. E' difficile mostrare chiaramente l'esistenza della coscienza di classe. Per esempio, una classe dirigente può cercare di sminuire il sentimento di appartenenza ad una classe, o può darsi anche che fra i membri di una classe interessi temporanei siano in contrasto con interessi generali oppure con interessi a lungo termine. Secondo Marx, la coscienza di classe nelle classi oppresse può restare celata per lungo tempo, ma prima o poi l'antagonismo esistente nella società conduce ad una rivoluzione sociale: "Prima o poi, quando le forze produttive della società raggiungono un punto in cui il loro ulteriore sviluppo è ostacolato dalle istituzioni sociali esistenti, la lotta di classe diventa acuta ed è allora che essa diventa la principale forza verso la riorganizzazione sociale". In questa rivoluzione il proletariato deve impadronirsi dello Stato e del suo intero apparato al fine di far scomparire quelle vecchie istituzioni che ostacolano lo sviluppo delle forze produttive e che mantengono la struttura di classe"

Questo è dunque l'anello di congiunzione che manca e che segna la profonda differenza tra l' “ottimismo” e la “programmazione della lotta”, particolarmente dolente oggi in una realtà in cui, come appare ormai del tutto evidente, le forze produttive stanno già scardinando a livello transnazionale, le istituzioni sociali esistenti e, pur tuttavia, manca una adeguata lotta di classe o popolare che si faccia acuta e che la porti a diventare il motore della riorganizzazione sociale.

Possiamo dire che oggi le “classi subalterne” non esistono più? Che il “proletariato”, per definizione è scomparso? Direi proprio di no, perché, nonostante la polverizzazione del dissenso e della subalternità sociale, dovuta a marginalizzazione e a precarietà endemica, il conflitto di classe esiste come se non più di un secolo o due fa, specialmente se oggi lo osserviamo su scala globale.

Quelle che mancano, invece, sono una coscienza ed una lotta globale adeguate ad eliminarlo.

Ma cos'è, in definitiva, la tanto vituperata “lotta di classe”, che moltissimi imbonitori o demistificatori delle lotte sociali, fino a demonizzarle sotto le false spoglie del “terrorismo”, ci vorrebbero far credere superata dal “migliore dei mondi possibili” o meglio, da quello a cui è impossibile trovare alcuna alternativa, per diktat istituzionale?

Ebbene, ce lo spiega con spirito altrettanto scientifico rispetto a Marx, uno studioso libertario della terra come Jacques Élisée Reclus che partecipò attivamente alla lotta per la Comune di Parigi: la lotta di classe non è altro che «la ricerca dell'equilibrio».
Tale lotta oggi, quindi, è imprescindibile per riequilibrare il mondo, e va dunque affrontata con strumenti culturali, economici e sociali globalmente avanzati. Perché oggi salvare la Terra e salvare l'Umanità dal terribile squilibrio messo in atto da una economia a senso unico globale turbocalitalista che non accetta freni e nemmeno regole, preda come è della dittatura dei “mercati”, è la stessa cosa, e vuol dire proprio mettere in atto tale prassi rivoluzionaria su scala globale.

Quindi, tornando a Diego, possiamo dire che la sua è una interpretazione di Marx molto in linea con quella di Gentile e di Preve, ma non è detto che sia la migliore, anche se è sicuramente fondata e coerente con certe sue premesse hegeliane e fichtiane.

Marx fu sicuramente anche filosofo, e filosofo assolutamente antidogmatico, lo stesso materialismo storico ci appare come una ontologia dell'essere sociale in nuce ed in fieri. Probabilmente, però, dire di lui ciò che lui esplicitamente non disse, anzi che sconfessò decisamente, anche se non veniamo mai valutati da ciò che diciamo di noi stessi, può essere una forzatura. In ogni caso, il pregio dell'ultimo libro di Diego “Idealismo e prassi: Fichte, Marx e Gentile” è soprattutto quello di sottrarre l'idealismo ad una sorta di cristallizzazione astratta e totalitaria, restituendogli la freschezza di una dimensione eversiva che consiste e sussiste nella sua irriducibile fede nel divenire in atto e non solo storicizzato, nel riportarlo cioè a quella sua fonte originaria, di matrice schiettamente rivoluzionaria.

Possiamo però limitarci a dire che solo un Io pienamente consapevole, storicizzato ed attualizzato, potrà salvarci nell'antitesi Idealismo o barbarie?

Forse sì, considerando gli esiti tuttora straordinari che questa ispirazione culturale e filosofica può ancora darci, nell'immaginare un mondo altro dalla fenomenologia di un contingente in cui si vorrebbe consegnare la storia stessa all'agenzia delle pompe funebri. L'Io, nel farsi noi, come umanità emancipata nelle sfide del XXI secolo, non può che affrontare però una sua ulteriore dilatazione e storicizzazione, includendo nel superamento dell'antitesi con il non Io, un nuovo e migliore rapporto con la natura. E qui credo che all'Io fichtiano tuttora preda di un prassismo etico desocializzato, vada dato un nome più concreto e calzante nell'antitesi attuale e più dirompente: Ecosocialismo o barbarie!.

Così, proprio nel superamento di questa antitesi vi è la “puntura” della zanzara a cui, per ora Diego Fusaro non fa molto caso, ma che resta l'unico modo per inoculare, mediante lo sciame, la sindrome concreta del cambiamento: la lotta di classe. Che va sottratta alla disinfestazione preventiva di un contingente arroccato politicamente, economicamente e persino giudiziariamente sulle proprie posizioni autoreferenziali

Qualcosa di cui, anche in Italia, qualcuno comincia a rendersi conto, anche se solo, per ora, empiricamente, qualcosa che si tenta persino di spacciare come “terroristico”, magari infiltrandolo ed inquinandolo artificialmente con virus nichilisticamente e sterilmente distruttivi, qualcosa che però sta trascinando con sé, in Europa e nel Mediterraneo, interi popoli, anche se essi non sono ancora, (questa volta loro) “bentornati” a Marx.

Sarà la “malaria” del nostro paludoso e paludato tempo, cristallizzato artificiosamente su se stesso, oppure, il vero vento nuovo di una rivoluzione in atto?

Non consegniamo la riposta ai posteri, e tanto meno..agli attuali poteri..



lunedì 29 luglio 2013

Società liquide e comunità locali





                                                          di Riccardo Achilli

Il post-modernismo liquido di cui parla Bauman è sicuramente un fatto culturale, cioè sovrastrutturale, legato ad una società post-ideologica in cui il concetto di libertà assume un valore superiore a quello della sicurezza, che era la parola d'ordine della precedente società solida, nella sua rigida definizione di ruoli e gerarchie, dalla fabbrica fordista al partito di massa basato su una chiara identità ideologica all'omogeneità delle classi sociali. 

Tuttavia, se guardiamo più da vicino la "libertà" della società liquida, scopriamo che, in realtà, l'aspetto sovrastrutturale è soltanto la maschera con cui i poteri economici del capitalismo globalizzato e finanziarizzato hanno coperto l'assoggettamento delle nostra società all'ordine produttivo del turbocapitalismo. Al fondo, la "libertà" liquida altro non è che edonismo consumistico egocentrico. All'apice del suo sviluppo, cioè prima dell'attuale crisi che ne rimette in discussione le fondamenta, la società post-moderna liquida ci ha dato solo la libertà di scegliere fra andare in vacanza ai Caraibi e comprarci il SUV, o di piastrellare la casa con il cotto toscano piuttosto che con il parquet. La libertà politica è svuotata di significato, prima perché la politica, attuata su base nazionale, finisce per essere subordinata alle esigenze di una economia che funziona su scala globale. E poi perché, non avendo più la libertà di scegliere una narrazione di un mondo futuro possibile, a causa della caduta delle ideologie, la stessa politica diventa un bene di consumo, mirata com'è a fornire una risposta immediata ad esigenze pratiche e contingenti di un elettore/consumatore. Non a caso, la politica ha integrato tecniche proprie del marketing dei beni di largo consumo, come il sondaggio di opinione, le tecniche di segmentazione e clustering delle preferenze degli elettori, la comunicazione sempre più sofisticata ed "emotivizzante", mirata cioè a ricostruire, dopo la caduta del legame con l'identità ideologica, di un rapporto affettivo e di fidelizzazione fra elettore/consumatore e leader/prodotto. Ci crediamo in diritto, sulla base della fede liberistica inoculataci, di criticare la vecchia DDR perché la Stasi spiava tutti, e poi scopriamo che la CIA, in perfetto accordo con i nostri rappresentanti politici, ci spia persino nel cesso. 

E, poiché la società liquida, nonostante predichi la libertà dei costumi e il relativismo dei valori, è in realtà estremamente conformista sulla dimensione di homo faber/consumatoris, non si ha diritto a pensarla diversamente, poiché è in opera una repressione molto più sofisticata ed efficace di quella delle vecchie carceri, dell'olio di ricino o dei manganelli: l'esclusione dalla grande giostra colorata dei consumi e del dinamismo della post modernità, rigettandoci dentro la discarica dei "rifiuti umani" di cui parla Bauman, con l'aspetto ,davvero terribile, che chi finisce in quella discarica non ne esce più, come dimostra la crescita strutturale dell'area delle "nuove povertà" nelle società opulente, registratasi anche prima della crisi, anche negli anni di crescita più vivace. In definitiva, il post-modernismo ci priva di due fattori tipici delle società solide, in cambio non di maggiore libertà, ma solo di un maggior edonismo consumistico: il senso di identità/appartenenza ed il diritto alla diversità: tutto diventa fluido e precario, per cui non ci si riconosce più nella propria azienda, legati come si è da un rapporto di lavoro che non durerà per tutta la vita, non ci si riconosce più in una concezione del mondo, perché le ideologie sono state espulse, si ha difficoltà a delineare il contorno del gruppo sociale cui si appartiene, ed anche la famiglia ed i legami umani più elementari diventano mobili, cangianti, disturbati come sono dall'esigenza superiore di soddisfare prioritariamente un edonismo egocentrico di tipo conformista. Ed anche il diritto alla diversità è fortemente limitato: va bene la diversità nei gusti sessuali, ma un diverso concetto dell'ordine lavorativo ed economico viene immediatamente stigmatizzato e dà luogo a repressione escludente.

La crisi profonda che il post modernismo sta vivendo non potrà che avere un solo sbocco: aumentare il conformismo repressivo, la precarietà esistenziale e lavorativa, la proibizione del pensiero "alternativo", riducendo peraltro lo spazio dell'edonismo consumistico: una sorta di società igienizzata e disinfettata, dove i "parassiti sociali" vengono eliminati ed il gruppo dominante si chiude su sè stesso congelando la mobilità ascendente, alla cui base operano tante formichine, spezzate da una vita di povertà, iperlavoro e insicurezza. Per uscire da questo incubo non si può pensare di far tornare le lancette della storia all'indietro, verso la società solida che oramai è perduta per sempre. Occorre probabilmente ripartire dai territori, dalle comunità locali, valorizzandone le culture e gli stili di vita distintivi, ed applicandovi nuove forme di solidarietà e cooperazione, di autoproduzione di beni e servizi essenziali. La comunità locale, infatti, con le sue specificità e tipicità, è forse l'unico luogo dove è possibile recuperare ciò che il post-modernismo ci ha tolto: identità, appartenenza ad un gruppo e diritto alla diversità. 

Il senso delle manifestazioni non sarebbe forse la rifondazione del Brasile?



di Leonardo Boff

Il popolo che nel mese di giugno manifestava per le strade che cosa voleva in ultima analisi in forma conscia o inconscia? Per rispondere, mi appoggio a tre citazioni ispiratrici.
La prima è di Darcy Ribeiro nella prefazione al mio libro O caminhar da igraja com os oprimidos (1998): “Noi brasiliani siamo nati da una impresa coloniale che non aveva il proposito di fondare un popolo. Voleva soltanto moltiplicare il lucro impresariale esportabile con abbondante sacrificio di vite umane”.
La seconda è di Luigi Gonzagade Souza Lima nella più recente e creativa interpretazione del Brasile: “La rifondazione del Brasile: verso una società biocentrata(São  Carlos 2011): “Quando si arriva alla fine, là dove finiscono i sentieri, è perché è arrivata l’ora di inventare altri sentieri; è ora di un’altra ricerca; è ora che il Brasile si rifondi; la rifondazione è il cammino nuovo e, tra tutti i possibili, è quello che più merita, dato che è proprio dell’essere umano non economizzare sogni e speranze; il Brasile è stato fondato come impresa. È  ora di rifondarlo come società” (risvolto di copertina).
La terza è dello scrittore francese Francois-René de Chateaubriand (1768- 1848): “Nulla è più forte di un’idea quando è arrivato il momento della sua realizzazione”.
È mia impressione che le variegate manifestazioni di strada fatte senza sigle, senza striscioni di movimenti e partiti conosciuti e senza il mega apparato sonoro, ma irrompendo spontaneamente, volevano dire: siamo stanchi del  Brasile che c’è e cheabbiamo ereditato: corrotto, con democrazia  bassa intensità, che fa politica ricca per i ricchi e povera per i poveri, un paese in cui le grandi maggioranze non contano e i piccoli gruppi estremamente opulenti controllano il potere sociale e politico; vogliamo un altro Brasile che sia all’altezza della coscienza che abbiamo sviluppato come cittadini e sulla nostra importanzanel mondo, per la biodiversità della nostra natura, per la creatività della nostra cultura e col nostro maggiore patrimonio, il nostro popolo, variegato, allegro sintetico tollerante e mistico.
Effettivamente fino ad oggi il Brasile è stato e continua ad essere un’appendice della grande  partita  economica e politica del mondo. Pur politicamente liberi, continuiamo ad essere ricolonizzati, perché le potenze centrali che prima erano colonizzatrici, ci vogliono mantenere al punto a cui sempre ci hanno condannati: a essere una grande impresa neocoloniale che sposta commodities, grani, carne, minerali come lo mostra in dettaglio Luiz Gonzaga de Souza Lima e ha riaffermato Darcy Ribeiro  citato sopra. In questo modo ci impediscono di realizzare i nostri progetti di nazione  indipendente aperta al mondo.
Dice con fine sensibilità sociale Souza Lima: “Anche se non fosse mai esistito in realtà, c’è un Brasile nell’immaginario e nel sogno del popolo brasiliano. I Brasile vissuto dentro ciascuno di noi è una produzione culturale. La società ha costruito un Brasile differente da quello reale storico: un certo paese del futuro, sovrano, libero, giusto, forte ma soprattutto allegro e felice” (p. 235).
Caio Prato Junior nella sua A revolução brasileira (Brasiliense 1966) profeticamente ha scritto: “Il Brasile si trova in uno di quei momenti in cui si impongono improvvisamente riforme e trasformazioni capaci di ristrutturare la vita del paese in modo consentaneo con le sue necessità più generali e profonde e le aspirazioni della grande massa della sua popolazione che, allo stato attuale, non sono debitamente ascoltate” (p. 2). Chateaubriand  conferma che quest’idea esposta sopra è maturata e arrivata al momento della sua realizzazione. Non sarebbe sostanzialmenteun il senso  del reclamare di coloro che stavano a migliaia nella strade? Vogliono un altro Brasile.
Sopra quali basi si farà la rifondazione del Brasile? Souza Lima dice che è  su quello che abbiamo di più fecondo e originale, la cultura brasiliana. “È attraverso la nostra cultura che il popolo brasiliano passerà a vedere le sue infinite possibilità storiche. È  come se la cultura, pressata da un poderoso flusso creativo,  si fosse ripresa abbastanza per scappare alle strettoie strutturali di dipendenza,dalla subordinazione e dai timidi limiti della struttura socioeconomica e politica dell’impresa Brasile e dello Stato che essa ha creato soltanto per sé. La cultura brasiliana dunque sfugge alla mediocrità della condizione periferica e si sovrappone  a se stessa con pari dignità in relazione a tutte le culture, presentando al mondo i suoi contenuti e le sue valenze universali” (p. 127).
Non c’è spazio che  esporre in dettaglio questa tesi originale. Rimetto il lettore o lettrice a questo libro che sta in linea con i grandi  interpreti del Brasile a esempio di Gilberto Freyre,  di Sergio Buarque de Hollanda, di Caio Prado Junior, di Celso Furtado,  e di altri.  La maggioranza di questi classici interpreti, hanno guardato indietro e hanno tentato di mostrare come si è costruito il Brasile che abbiamo. Souza Lima guarda in avanti e tenta di mostrare come possiamo rifondare un Brasile nella nuova fase planetaria, ecozoica, verso quello che lui chiama “società biocentrata”. Non saranno questi migliaia di manifestanti i protagonisti anticipatori di dell’ancestrale e popolare sogno brasiliano? Che Dio lo voglia e la storia lo permetta.
Traduzione di Romano Baraglia

martedì 23 luglio 2013

Carlo Rosselli e il Socialismo italiano

         
            


                                                   di Giuseppe Giudice


Carlo Rosselli non era un liberale di sinistra, come spesso qualcuno in Italia l'ha descritto. Frutto di vuoto cultuale ed antichi pregiudizi. Tale lettura di Rosselli l'hanno avvalorata sia i postsocialisti neoliberali come Martelli, sia i postcomunisti del PDS.
Ma anche in certa tradizione socialista seria sono stati presi grossi abbagli. E' il caso di Lelio Basso, per il quale Rosselli era un socialista spurio in quanto risentiva della influenza del laburismo inglese che notoriamente non è mai stato marxista. Basso (e Nenni) non sono mai riusciti a superare la tradizione socialista prefascista. Per loro il socialismo era quello della socialdemocrazia tedesca del Programma di Erfurt, di Kautsky e di Rosa Luxemburg. Maurizio Degli Innocenti, uno dei migliori storici del socialismo europeo, ha messo in evidenza che il dato di vent'anni di dittatura fascista hanno impedito al socialismo italiano di usufruire di quella grande svolta che il socialismo europeo compie negli anni 20 e 30, dopo la irrimediabile separazione dal comunismo (la parentesi dei Fronti popolari è un fatto difensivo contro il fascismo, ma non modifica affatto la distanza ideologica tra socialismo democratico e comunismo, che anzi in seguito si approfondirà). Per cui lo sforzo revisionistico del socialismo europeo -Hilferding, De Man, Cole, diversi tra loro, ma tutti consapevoli che bisognava andare ben oltre la socialdemocrazia di Erfurt (poi in quegli anni si aggiunge il preziosissimo contributo di Polany), si scarica in gran parte sui socialisti di Giustizia e Libertà (Rosselli, Lombardi, Foa) e su Giuseppe Saragat che porta tra i socialisti italiani le idee del marxismo evolutivo di Otto Bauer e dell'austromarxismo.

Un punto delicato sono i rapporti tra Rosselli ed il marxismo. Come è noto Rosselli ritiene che tra socialismo e marxismo non c'è parentela necessaria e che comunque il socialismo non può basarsi su una unica dottrina. Ma Marx è un pensatore molto complesso, e molto lontano dalle semplificazione che sono state fatte da amici ed avversari. Oggi gran parte degli studiosi ritiene che occorre fare una distinzione netta tra Marx ed il marxismo (anzi i marxismi). In quanto quello che viene presentato come marxismo è spesso frutto di una semplificazione e volgarizzazione del pensiero di Marx spesso per fini strumentali di polemica politica. E così è da 90 anni. Vittorio Foa spesso sottolineava i danni fatti alla cultura di sinistra dalle varie "vulgate" marxiste. E le sue prevalenti sono quella di uno strutturalismo economicista (che talvolta si riaffaccia anche oggi) o di un idealismo storicista (hegelo-marxista) che è tipico dell'italocomunismo (da Togliatti a Berlinguer all'Ecole Barisienne).
 Ma torniamo a Roselli. Saragat che critica alcuni aspetti della sua opera però mette in evidenza il dato che Rosselli critica il marxismo della "vulgata" di allora (fra l'altro a quel tempo non erano ancora state pubblicate alcune opere importanti di Marx come i " Grundrisse" e l'ideologia tedesca. In effetti Rosselli (rifacendosi largamente al libro di De Man "al di là del marxismo" del 1926 ) critica il determinismo storico del marxismo allora prevalente sia nella variante positivista del socialismo di inizio 900 sia nella variante dialettico-rivoluzionaria bolscevica (poi finita molto male). Ed il concetto che sta alla base di questo marxismo volgare: il capitalismo prima produce uno sviluppo straordinario delle forze produttive, poi poiché è attraversato da crisi endemiche (caduta del saggio del profitto, crisi di sproporzione tra settori produttivi) frena poi questo sviluppo e si avvia verso il suo crollo. Studiosi come Ruffolo e Carandini in effetti hanno contestato il dato che in Marx esista una idea del crollo finale del capitalismo. In quanto il filosofo di Treviri concepisce le dinamiche ed il processi individuati come "tendenziali" e non assoluti. Ma nel processo di volgarizzazione , che è poi quello più rilevante politicamente perché poi diventa senso comune, prevale la idea deterministica e palingenetica del socialismo. Almeno fino agli anni 30, quando inizia ad essere messa in discussione da vari dirigenti ed intellettuali socialisti. Riccardo Lombardi (che poi è quello che maggiormente ha attinto da quel socialismo revisionista) diceva che dopo Keynes e Schumpeter una revisione critica del marxismo era indispensabile. Revisione e non certo rinnegamento.
 Ma c'è un altro elemento che è importante nel pensiero di Rosselli e che mutua ancora una volta da De Man. Vale a dire che la lotta di classe non è un semplice riflesso della dialettica tra forze produttive e rapporti di produzione. ma contiene in se un elemento politico ed etico, di liberazione umana. De Man parla di una psicologia della classe operaia che è interessata al superamento di una condizione di inferiorità Rifacendosi esplicitamente alla psicanalisi di Alfred Adler che era socialista e legato all'austromarxismo. Questo è stato un aspetto poco indagato nel pensiero rosselliano, che è comunque solo abbozzato. Saranno Polany e soprattutto Castoriadis a svilupparlo. Non legare deterministicamente lotta sociale con dialettica tra forze produttive e rapporti di produzione. Per Castoriadis il limite di Marx è non l'essersi liberato completamente del pensiero di Hegel che lui considera il principale esponente del funzionalismo e quindi di una filosofia sostanzialmente conservatrice. Del resto il comunismo leninista è rigidamente funzionalista. Sia Rosselli che Castoriadis recuperano (Castoriadis con una analisi molto più sistematica) il socialismo libertario cerando di liberarlo delle derive ribellistiche ed utopistiche e portandolo (questo in Rosselli) su un terreno squisitamente costruttivo e riformatore. Rosselli e Lombardi sono il tratto di unione tra i socialismo riformista di Turati e Matteotti ed il socialismo libertario di Merlino. Nel socialismo europeo non c'era solo il socialismo funzionalista e statalista tedesco di Erfurt. Nel 1894 il socialismo belga con la Carta di Quaregnon delinea una idea almeno parzialmente alternativa a quella tedesca che influenzò molto il socialismo italiano, francese (Jaures soprattutto) ed inglese (Cole). Con la idea di un socialismo laico, pluralista, libertario, umanista. Il Belgio pur essendo un piccolo paese, in virtù del suo precoce sviluppo industriale (antecedente a quello prussiano) sviluppò una grande rete di tessuto cooperativo, mutualistico, sindacale su cui poi sorse nel 1884 il partito (in Italia si è seguita una via similare) e quindi un socialismo in cui si univa la necessità di un intervento pubblico centrale, con lo sviluppo di vasti reti autogestire da lavoratori e cittadini. Un socialismo fatto proprio da Cole in Inghilterra (il socialismo ghildista) e anche dagli austromarxisti Bauer e Hilferding. Emile Vanderverlde leader storico del socialismo belga (che secondo Pino Ferraris, influenzo lo stesso socialismo scandinavo, molto più di quello tedesco) fu per 18 anni presidente della Internazionale Socialista.
 Come è evidente il socialismo belga ha influenzato molto il socialismo italiano, mentre il PCI fu molto più influenzato dalla prima SPD. Di qui le differenze che vi sono sempre state. Insomma Rosselli, Lombardi, Santi e Foa sono gli eredi , sia pur alla lontana della Carta di Quaregnon. Pino Ferraris inoltre ha messo in evidenza come il movimento dei beni comuni ha scoperto l'acqua calda, in quanto recupera idee che sono sempre stati presenti in una parte importante del socialismo democratico. Solo che questo movimento ha acquistato connotazioni antipolitiche che evidentemente erano del tutto assenti in quel socialismo. E quel socialismo democratico è quello che ha più resistito alle intemperie del 900 (anche in Germania hanno rivisto molte cose, nel frattempo.
 In conclusione quel socialismo come filosofia di liberà e come umanesimo integrale, che Rosselli rianima in Italia (e che Lombardi ed altri fanno proprio) , in questa fase di acuta crisi del capitalismo , è quello che può fornirci stimoli per un progetto socialista del XXI secolo. Perché è completamente rimasto indenne dalle dure repliche della storia che hanno visto il crollo del più grande tradimento degli ideali di emancipazione e liberazione del socialismo: il comunismo reale. In nome di questo socialismo democratico e libertario possiamo criticare e combattere meglio il capitalismo mercatista in nome di una idea non unilaterale e mutilata di modernità, combattendo nel contempo quelle derive autoritarie e giacobine che in Italia si sono sostanziare nel giustzialismo. E del resto giustizialismo e mercatismo sono state le caratteristiche dell'ulivismo. Rompere questo paradigma per fondare su questo socialismo la sinistra che dia speranze.

lunedì 22 luglio 2013

TURI VACCARO: UN SANTO (IMPRIGIONATO) DEI NOSTRI GIORNI


NoMuos-NOTAV unica lotta unica causa Ecosocialista.



Val di Susa: cui prodest?




                                                di Carlo Felici


Diciamolo onestamente e chiaramente, se la violenza non è degenerata ancora una volta, come a Genova, in Val di Susa, ciò è stato dovuto, in particolare, alla presenza di magistrati, che probabilmente avevano già intuito cosa sarebbe potuto accadere e le conseguenze a cui avrebbe portato.
La stessa dichiarazione di Marta, ragazza, che testimonia di essere stata malmenata, sputata e molestata nelle parti intime, e che è stata accusata di oltraggio e resistenza solo perché recava con sé acqua e limone, è del tutto evidente. Lo hanno fatto fuori, ma non dentro il cantiere dove erano acquartierate le forze di polizia ed erano presenti i magistrati
Quindi una volta tanto, siamo onesti, e diciamo grazie ai magistrati, senza se e senza ma.
Ma, ovviamente non diciamo grazie ai politici né a qualcuno che disonora la divisa, perché le premesse per ripetere la macelleria messicana c’erano tutte, persino quella del solerte politico, udite, udite, stavolta non della Destra Nazionale, ma del PD, che dal suo “blog-cabina di regia” invoca a gran voce: "un auspicio affinché si utilizzi il pugno duro nei confronti dei fermati", in pieno stile militar-cileno. Salvo poi reclamare una esemplare giustizia nei confronti del “mandante” da lui individuato meglio che dai magistrati…avrà sbagliato forse mestiere? Doveva fare il magistrato? Oppure il questurino?
Non lo sappiamo, però una cosa è certa: con tutto ciò, la parola “sinistra” ha definitivamente cessato di esistere in questo Paese, soprattutto per opera di certe millantature.
Il dato di fatto che emerge con sempre più evidenza è che tra i due versanti delle Alpi coinvolti in questo disastroso progetto di sventramento ambientale, solo quello “destro” (o orientale che dir si voglia) è endemicamente affetto da violenza cronica, quello “sinistro” (o occidentale che dir si voglia, perché certe volte anche la geopolitica ha i suoi strani paradossi), vive serenamente e in pace senza scontri, violenze e cantieri portati avanti a tutti i costi.
Che la Francia stia più a “sinistra” dell’Italia non è solo una evidenza della cartina geografica dell’Europa, ma una palese rilevanza politica. Per quanto si possa criticare Hollande, egli, in ogni caso, ha saputo gestire questa vicenda, da socialista, molto meglio non solo di chi socialista non è, e a fasi alterne vorrebbe sembrare, ma anche di tutta la congrega che si è succeduta al potere in Italia in questi ultimi anni.
In Francia la TAV non è una priorità, infatti a Le Figaro risulta che prima del 2030 verrà messa in cantiere una sola nuova linea ferroviaria ad alta velocità, la Bordeaux-Tolosa, ed una seconda linea ad alta velocità potrebbe essere ridefinita come prioritaria ma solo a determinate e non meglio definite condizioni. Se puta caso la scelta cadesse proprio sulla Torino-Lione, si tratterebbe quindi di una priorità condizionata e non assoluta.
Noi, invece, pur avendo già decretato, di fatto, non prioritari il ponte sullo Stretto di Messina, l’IVA, l’IMU, e sotto certi aspetti anche gli F35, il cui acquisto resta comunque vincolato al parere del Parlamento, manteniamo come priorità indiscutibile una scelta che rischia di trasformare una intera provincia del nostro Paese in una polveriera e che non solo già attira i bombaroli nostrani, ma anche quelli esteri, non abbiamo dunque solo la bilancia commerciale in passivo, ma anche quella dei blockaroli, sempre ammesso e non concesso che non li si scopra dialogare in dialetto napoletano, e non sarebbe nemmeno la prima volta.. (bellissima lingua che però, in questo come in altri casi, sembra più che altro fuoriuscita da certo sottosuolo avvelenato).
Perché solo il nostro governo vuole la TAV a tutti i costi? E’ questo il vero punto della questione, più che l’analisi di come ci si muove sul campo.
Perché fa comodo tenere alta la tensione, spiattellando il più frequentemente possibile sui giornali e sui media, spesso asserviti al potere politico, cosa accade e cosa accadrebbe di peggio se a quel sistema politico blindato persino dal Capo dello Stato si trovasse una alternativa: il caos della Val di Susa investirebbe l’Italia, ecco cosa vogliono farci credere invece di spegnere certi fuochi fatui mediante il paziente ed ininterrotto dialogo con le popolazioni e le amministrazioni locali.
Il regime che non ammette alternative a se stesso tiene aperto un cantiere ad oltranza perché non serve a costruire un tunnel (a meno che non ne ipotizziamo uno con conversione a U), ma ad edificare consenso generato dalla paura. Questo, in definitiva è il “cui prodest?” della situazione, a cui tanto tiene il PD dopo aver liquidato ignominiosamente il “cui Prodi”.
E’ la vecchia strategia con cui anche il PCI liquidava con sdegno le lotte studentesche del ’77 per accreditarsi come “sceriffo” di un sistema che ha fatto fuori il PCI ma non la sua nomenklatura. E che non esita tuttora a invocare il “pugno duro” da parte della polizia la quale è costretta ad occuparsi in massa di vicende di ordine sociale più che pubblico, distogliendo uomini, donne, risorse e mezzi da ben altri fronti di combattimento come quelli contro la criminalità organizzata, e subendo anche attacchi violenti da frange infiltrate di personaggi alquanto loschi e solo apparentemente non ben indentificati.
E allora, ribadiamolo con forza e con chiarezza: la lotta in Val di Susa è una legittima lotta Ecosocialista, per restituire la terra a chi la abita e la lavora, ed impedire una devastazione ambientale di proporzioni colossali, ma essa va condotta in maniera non violenta, senza infiltrati e soprattutto con il supporto indispensabile delle amministrazioni locali e dei loro rappresentanti popolari, costi quel che costi, e senza alcuna requie né paura. La Francia ha già messo da parte, di fatto, questo progetto disastroso, in Italia ci si ostina a volerlo portare avanti solo per incrementare prima lo scontro sociale e poi una repressione che dilaga in maniera brutale e senza controllo ogni volta che categorie sfruttate ed emarginate crudelmente dalla crisi tentano di ribellarsi.
Chi è dunque il vero mandante di tutto questo?
 L'unico vero mandante di tanta scelleratezza è la mancanza di ragionevolezza e di consapevolezza.
 L’unico vero mandante è la trasformazione della vera politica in torbida latitanza.
C.F.

sabato 20 luglio 2013

Il principio della rana bollita

                                                



                                                 di Noam Chomsky


 Immaginate un pentolone pieno d’acqua fredda nel quale nuota tranquillamente una rana.
Il fuoco è acceso sotto la pentola, l’acqua si riscalda pian piano. Presto diventa tiepida. La rana la trova piuttosto gradevole e continua a nuotare.
La temperatura sale. Adesso l’acqua è calda. Un po’ più di quanto la rana non apprezzi. Si stanca un po’, tuttavia non si spaventa.
L’acqua adesso è davvero troppo calda. La rana la trova molto sgradevole, ma si è indebolita, non ha la forza di reagire. Allora sopporta e non fa nulla. Intanto la temperatura sale ancora, fino al momento in cui la rana finisce – semplicemente – morta bollita.
Se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell’acqua a 50° avrebbe dato un forte colpo di zampa, sarebbe balzata subito fuori dal pentolone.
Questa esperienza mostra che – quando un cambiamento si effettua in maniera sufficientemente lenta – sfugge alla coscienza e non suscita – per la maggior parte del tempo – nessuna reazione, nessuna opposizione, nessuna rivolta.
Se guardiamo ciò che succede nella nostra società da alcuni decenni, ci accorgiamo che stiamo subiamo una lenta deriva alla quale ci abituiamo. Un sacco di cose, che ci avrebbero fatto orrore 20, 30 o 40 anni fa, a poco a poco sono diventate banali, edulcorate e – oggi – ci disturbano solo leggermente o lasciano decisamente indifferenti la gran parte delle persone. In nome del progresso e della scienza, i peggiori attentati alle libertà individuali, alla dignità della persona, all’integrità della natura, alla bellezza ed alla felicità di vivere, si effettuano lentamente ed inesorabilmente con la complicità costante delle vittime, ignoranti o sprovvedute.
I foschi presagi annunciati per il futuro, anziché suscitare delle reazioni e delle misure preventive, non fanno altro che preparare psicologicamente il popolo ad accettare le condizioni di vita decadenti, perfino drammatiche.
Il permanente ingozzamento di informazioni da parte dei media satura i cervelli che non riescono più a discernere, a pensare con la loro testa.

venerdì 19 luglio 2013

Quale Socialismo per il futuro dell'Europa?





Nell' eurozona in cui manca una valida direzione fiscale e politica delle iniziative monetarie della BCE, ad essere penalizzati sempre di più appaiono i partiti di sinistra, in particolare quando agiscono senza un coordinamento continentale e, seguendo in buona parte interessi nazionali, in ordine sparso. In altri paesi come la Danimarca tuttora fuori dell'eurozona, le cose vanno diversamente. Evidentemente la sovranità monetaria rappresenta un vantaggio per chi propone un programma basato su investimenti pubblici, energie rinnovabili e fondi a educazione e sanità. E questo dovrebbe spingerci seriamente a riflettere sulla opportunità quanto meno di rinegoziare presenza e ruolo nell'ambito dell'eurozona, specialmente considerando come essa sia sempre più proiettata verso una centralità economica e finanziaria continentale e tedesca, e sempre meno orientata verso una valida sponda di cooperazione e di sviluppo nell'area mediterranea.

L'unico continente in cui il Socialismo, nei suoi vari e molteplici aspetti, vince democraticamente e liberamente appare oggi il Sudamerica, a causa di una concomitanza di fattori positivi:

La situazione dissestata delle economie dei Paesi dell’area, dovuta in gran parte alla crescita del debito estero e all’adozione del modello neoliberale ha determinato una forte reazione politica che ha visto coinvolti movimenti e personaggi che, dalla opposizione militare e guerrigliera, hanno saputo reinterpretare il loro ruolo e conquistare validamente quei consensi che hanno consentito loro di vincere le competizioni elettorali . Questo anche grazie alla revisione ideologica di alcuni partiti di sinistra, che ha permesso loro di abbracciare una fetta più ampia dell’elettorato. La capacità dei partiti e degli esponenti di sinistra di attrarre il voto di persone che non avevano mai votato prima è avvenuta soprattutto grazie al forte richiamo simbolico di alcuni candidati presidenziali.

Naturalmente tutto ciò è stato favorito dalla grande disponibilità di materie prime, dalla nazionalizzazione del loro sfruttamento e dall'incremento di rapporti con i paesi emergenti dell'area BRIC, in particolare con la Cina.

Nel Mediterraneo non è impossibile realizzare un ponte con il Sudamerica, e soprattutto con quei paesi emergenti che validamente hanno come comune obiettivo la riduzione della povertà e delle disuguaglianze. Programmi come Chile solidario, Fame zero in Brasile o le Misiones venezuelane si concentrano sulle fasce più deboli della popolazione, cui si propongono di offrire – tramite una serie di sussidi – una risposta alla fame, all’analfabetismo, all’emergenza medica. Lo Stato torna ad avere un ruolo centrale anche nell’economia. Ciò non sorprende, dato che anche un recente sondaggio di Latinobarometro ha confermato che i latinoamericani non hanno molta fiducia nell’economia di mercato e nelle imprese private. Tali politiche sarebbero cruciali per risollevare le disastrate condizioni di vari paesi della sponda sud del Mediterraneo, sottraendoli alla rovina del tribalismo, del fondamentalismo, del caudillismo e soprattutto del rischio di un caos sociale e politico permanente dovuto a conflitti endemici senza soluzione di continuità.

Un'area mediterranea di libero scambio, di progresso economico oltre che di sviluppo sociale, sottratta al nazionalismo e alla sudditanza neocoloniale, sarebbe davvero la carta vincente, soprattutto se coordinata con altre zone di analoga tendenza nei paesi emergenti e nel Sudamerica, contro quell'invadenza e quell'offensiva neoliberista e neocolonialista che, con guerre sempre più rovinose e perduranti, si sta imponendo dall'inizio del secolo, e che ha come principale scopo quello di impedire che il commercio delle materie prime, dal Mediterraneo al Medio Oriente, avvenga non più in dollari ma in euro. Tale assetto non solo gioverebbe ai paesi europei che si affacciano sul Mediterraneo, ma anche agli USA, in un' ottica di concreta collaborazione per la stabilizzazione politica di tale area, per un incremento al suo interno di scambi proficui tra Nord e Sud e infine per una prospettiva di pace durevole, assicurata da una rete di interessi comuni.

La Spagna, in ogni caso, in tale difficile contingenza globale, pur nella sua difficile situazione sociale ed economica, e nonostante la cocente sconfitta socialista, ha saputo dimostrare sicuramente uno slancio, una dignità e una credibilità in più di altri paesi “fratelli” della sponda mediterranea come la Grecia e l'Italia, e sebbene non stia sicuramente meglio di noi italiani, perché ha saputo eleggere un governo democraticamente, senza subire l'umiliazione “tutoriale” di governi “alieni e consociativi”, di fatto imposti dalla BCE.

L'Europa della BCE assomiglia molto a quella carolingia. “Spazza via” chi non si “converte” alla fede monetaristica ed inaugura un ferreo sistema di vassallaggio nei rapporti tra economia e politica, specialmente se trascura la questione cruciale degli eurobond. Ma, in tal senso, non ha futuro, perché sostanzialmente autoreferenziale ed “utile” soltanto per dirottare ricchezza dai ceti medi ai grandi “feudatari bancari”.

Un' Europa mediterranea fa paura solo a chi vuole usare il “mare nostrum” come “base militare” di controllo dello sfruttamento delle aree più ricche di quelle materie prime destinate, nei prossimi anni, a diminuire di quantità e ad aumentare di prezzo. Una mira egemonica che però sconta in se stessa la mancata possibilità che si realizzi in tale area un mercato attivo e recettivo anche per esportazioni provenienti da USA ed Europa.
Non serve infatti dominare un'area e riservala al mero sfruttamento, gli stessi USA dovrebbero esserne consapevoli. Essa, in tal modo, ben presto si rivelerà un boomerang che esporterà terrorismo e massa di disperati in fuga dalla miseria.

Il Socialismo europeo ha quindi di fronte a sé molti nemici, proprio per il rischio che esso potrebbe rappresentare se potesse realmente coordinarsi e sfuggire al dominio delle tendenze neoliberiste e neocolonialiste. Un rischio talmente grosso da costituire una svolta epocale.

Ovvio quindi che si cerchi di sabotarne l'affermazione seminando la proliferazione di innumerevoli suoi nemici interni che abbiano come loro missione principale proprio la necessità di dimostrarne l'inefficacia, l'inconsistenza, la sudditanza ed il suo squilibrio permanente tra utopismo e massimalismo ideologico a sfondo totalitario.

Nemici ovviamente perfettamente inseriti nella gerarchia di vassallaggio con cui il totalitarismo monetaristico neoliberista si sta affermando. Nemici a tal punto tale, da arrivare a definirlo un “errore antropologico”, cioè una sorta di contraddizione intrinseca della natura umana, capovolgendo e misconoscendo completamente il senso profondo delle radici umanistiche su cui il Socialismo stesso si fonda,e soprattutto la prospettiva ecologista su cui oggi esso stesso è chiamato ad aggiornarsi in nome del fatto che non si salva l'umanità senza salvare al contempo la Terra.

L'Ecosocialismo libertario resta, per questo, tuttora la risposta migliore che si possa dare ad una crisi che rischia di aggredire la natura umana nei suoi più intimi valori fondativi: la libertà, la solidarietà e l'uguaglianza. In un mondo sempre più minacciato dai dissesti idrogeologici, strettamente legati a quelle politiche che considerano il territorio “merce” da utilizzare per fini di profitto, esso più che un'opzione politica, rappresenta la via della sopravvivenza della specie umana e la seria possibilità di arrivare indenni alla fine di questo secolo.

Attualmente abbiamo in Italia una pericolosa alleanza tra quei tecnocrati che lo considerano una “pericolosa illusione” ed i “gerarchi ecclesiali” che lo intendono come “errore antropologico”, suffragata dall'utilizzo di partiti contenitori guidati da vecchi leader “riciclatisi” proprio per sostenerne l'inconsistenza su scala globale.

Ricostruire una prospettiva di sviluppo socialista che sia concretamente libertaria e che contrasti in primo luogo quel totalitarismo dei mercati che non premia il merito, la competitività e l'innovazione, ma incentiva piuttosto l'oligopolio, l'obbedienza e la servitù monetaria, per promuovere una alternativa di emancipazione individuale e collettiva, è molto difficile, ma non impossibile e, allo stato attuale dei fatti, non può che risultare come un impegno rivoluzionario sia nei confronti di vecchi assunti dogmatici veteromarxisti sia contro le mistificazioni dell'apparato feudale neoliberista.

Solo alcuni grandi leader che sanno smascherare le trame lobbistiche che si celano dietro certi governi, e che allo stesso tempo viaggiano, conoscono ed apprezzano le grandi tendenze innovative che emergono prepotentemente nel mondo che non subisce passivamente un modello di globalizzazione a senso unico, possono concretamente restituire anche nel nostro Paese una possibilità di riscatto nella prospettiva del Socialismo del XXI secolo. Non evidentemente dei premier che sono solo il misero risultato di alchimie politiche, preparate nei laboratori del turbocapitalismo

Non è difficile, basta solo che coloro che credono seriamente in tali prospettive “diventino concretamente” ciò che “sono” e, come tali, si facciano autenticamente e coraggiosamente riconoscere in ambito nazionale, europeo e globale.

C.F.

giovedì 18 luglio 2013

Il governo putrefatto




Potevamo presumere fino a qualche tempo fa che questo governo fosse nato morto, dato che non ha mai espresso una volontà popolare, annientata in partenza da una legge elettorale “porcata” che tutti criticano ma che nessuno concretamente sembra disposto a cambiare, adesso che esso si è insediato e continua a governare con la prosopopea di uno zombie, possiamo davvero considerarlo pienamente in putrefazione.
Alcuni dati sono del tutto evidenti: il cosiddetto decreto del “fare” tutto fa tranne che cambiare concretamente l’indirizzo di una deriva sprecona e vessatoria verso i più deboli.
Piccoli provvedimenti tampone che equivalgono ad una navigazione di cabotaggio la quale è tanto poco di altura che rischia seriamente di fare la fine della Costa Concordia, naufragata sugli scogli dell’isola del Giglio.  Le rassicurazioni frequenti di Letta infatti assomigliano sempre di più al messaggio del comandante di quella nave ai passeggeri, poco prima del disastro: “Mantenete la calma, la situazione è sotto controllo, c'è stato un piccolo inconveniente al sistema elettrico della nave, stiamo lavorando al problema tecnico, vi daremo informazioni non appena possibile”
Effettivamente quello che abbiamo sotto gli occhi non è solo un cortocircuito della democrazia, privata di qualsiasi straccio di opposizione e di alternanza, ma anche una penosissima paralisi istituzionale, a partire dal mancato ricambio della prima carica dello Stato: il Presidente della Repubblica
Questo governo passerà alla storia per la sua impotenza e per i suoi rimandi…rimandata l’IMU, rimandata l’IVA, rimandato l’acquisto dei cacciabombardieri, rimandata la seria possibilità di ridurre i costi della politica e via dicendo..
Già, ma rimandati a quando?
C’è da prevedere che lo siano fino alla prossima incombenza metereologica dei mercati che, come onde colossali, prima si gonfiano e poi si scatenano con irrefrenabili strali speculativi che ormai colpiscono di più e meglio delle saette di Zeus fulminatore che annienta uno alla volta mentre lo spread disintegra in un colpo solo popoli interi
Vedrete che, dopo l’ennesima tempesta monetaria, tutti i nodi verranno al pettine e tutto quello che oggi viene rimandato, diventerà una urgenza vitale.
La morale è semplice: “anche se come al solito la benzina per mero calcolo speculativo, aumenterà, cari italiani, fatevi le vacanze tranquilli e spendete un po’ di soldini altrimenti anche l’industria del turismo collasserà, poi, con calma, quando tornerete, ricominceremo a tosarvi sul serio”
Nel frattempo, urbis et orbis, sghignazzeranno pure le papere della Patagonia a vedere l’Italia rappresentata da uno come Calderoli che strilla contro gli oranghi della sua caricaturale fantasia malata, da una Bonino che non fa nulla per dare asilo ad un Presidente boliviano braccato perché fortemente sospettato di aver piegato in due uno spione ed averlo messo in valigia, e infine da un ministro dell’Interno che è tanto interno ai suoi affari da non accorgersi dell’espulsione di una donna e di una figlia per chissà quali oscuri motivi, aggravati da insulti irripetibili, e forse da non rendersi conto nemmeno che è lui stesso il ministro dell'Interno.
Bisogna dire che tutto questo, come film comic-horror, è perfettamente riuscito.
Eppure per raddrizzare seriamente questa sgangherata e demenziale deriva dell’ammucchiata, sarebbe bastato dire una volta per tutte no ad ulteriori spese militari, dando un serio segnale di voler combattere l’evasione fiscale che ammonta a ben 500 miliardi, stroncando una volta per tutte il fenomeno della corruzione e della collusione con i poteri criminali che ci costa ben 70 miliardi e soprattutto facendo pagare seriamente chi non ha mai pagato.
Ma no, i cacciabombardieri saranno acquistati, il penoso ministro dell’Interno sarà salvato dallo stesso Partito Democratico ormai in delirio da orgasmo poltronaro multiplo, mentre la casta politica della più grande ammucchiata mai vista in Italia tiene strette le sue mani sul suo malloppone elettorale di ben 91 milioni di euro; di buon esempio, dunque, manco a parlarne.
Anzi, ministri e presidenti, quello della Repubblica in testa, ci avvertono perentori che al contingente putrefatto non esiste alternativa, pena l’abisso dell’abbattimento radicale del Sistema-Paese da parte del dio Mammona, Mercatante, di cui loro, ovviamente, sono cardinali, sacerdoti e chirichetti.
Chi ci salverà dunque da tale congrega di zombies? Non lo sappiamo, ma il sospetto fondato è che Grillo tutt’al più possa trasformare il film demenziale in uno comic horror della serie maial-zombies, non pare certo che possa assumere le vesti dell’eroe risolutore.
Per quello, probabilmente, ci vorrebbe Haddy Kruger con la sua inflessibile motosega, tale da tagliare alla radice certi mali e certi malfattori, di un sistema che spaccia il riformismo per la macelleria sociale, facendo rimpiangere anche a qualche povero vecchio partigiano i tempi in cui, da giovane, il Duce dava lavoro, curava la Previdenza e abbassava l’età pensionistica.
Un sistema che non è più riformabile ma solo rivoluzionabile, probabilmente ormai all’egiziana, con un intervento deciso di quell’Esercito i cui poveri servitori crepano ancora negli sperduti deserti dei tartari dove solo i narcotrafficanti esportano davvero alla grande, (altro che esportare democrazia!), oppure restano impoveriti insieme all’uranio che hanno assorbito.
Non sperate infatti che ci salvi l’Europa che pensa belluinamente a salvare i propri cavoli e anche le proprie capre, rigorosamente ciascuno le sue e i suoi. Se ci salveremo, lo potremo solo fare da soli, lasciando tutti a bocca aperta come quando nelle partite cruciali ci danno per sonoramente battuti e vinciamo alla grande anche ai tempi supplementari, oppure ci manderemo lo stesso da soli a ramengo, sparando l’ennesimo rigore al vento.
Vento che non sai mai da dove viene, né dove va..
C.F.