Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo

Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo
Garibaldi, pioniere dell'Ecosocialismo (clickare sull'immagine)

giovedì 23 agosto 2012

LA TRAGEDIA DEL SUDAFRICA

di Riccardo Achlli

Il successo di un governo che si propone esplicitamente di raggiungere la libertà per gli oppressi dipende essenzialmente dalla sua capacità di garantire la libertà sostanziale, cioè quella economica. Ed il Sudafrica post-apartheid dominato dall'Anc è un fallimento in tal senso: basti pensare che il 40% dei cittadini di tale Paese vive con meno di 2 dollari al giorno, e che tale percentuale di miseria si concentra proprio sugli schiavi di ieri, mai realmente liberati: neri, coloured, indiani, cinesi (anche se il post apartheid ha riservato alcuni fenomeni di impoverimento anche ad alcune comunità rurali bianche, specie di afrikaner, nonostante l'impetuosa crescita economica, he però è stata guidata da filosofie neoliberiste, basate sioè sull'incremento delle diseguaglianze). La tragedia sanguinosa verificatasi nella miniera di Marikana è soltanto la logica conseguenza di un Paese che non ha saputo, né voluto, liberarsi dalla dominazione neoimperialista delle compagnie minerarie straniere e non ha saputo modificare i suoi assetti sociali.
In questi termini l'analisi fatta da Antonio Moscato è ineccepibile:


 Mi limito solo ad aggiungere poche considerazioni: è corretto identificare gli effetti negativi dell'amnistia generalizzata che seguì alla fine dell'apartheid. Un Paese che esce da un regime ha bisogno di conservare la memoria storica dei crimini di quel regime. Ciò significa che i principali responsabili politici, economici e amministrativi di quel regime, nonché i subordinati che si sono resi responsabili di crimini o abusi parrticolarmente efferati, vanno processati pubblicamente e condannati a lunghe pene detentive, e che la storia dei crimini del regime va perpetuata alle generazioni future, nel sistema educativo e anche nella simbologia e nella ritualità sociopolitica. E' tuttavia assurdo pensare di poter smantellare completamente l'apparato economico, amministrativo e giudiziario/poliziesco per sostituirlo con uno nuovo di  zecca. Un simile tentativo avrebbe portato il Sud Africa alla catastrofe. Al momento della fine dell'apartheid, le comunità discriminate (non solo neri, ma anche coloured ed indiani) non avevano le competenze per gestire l'economia e l'amministrazione dello Stato, da sempre nelle mani della minoranza bianca. Ma ovviamente ciò non giustifica in nessun modo l'amnistia generalizzata, e la tendenza, da parte soprattutto dei leader attuali dell'Anc, di cancellare con un colpo di spugna anche le responsabilità etiche e storiche dei bianchi, ed in particolare della comunità afrikaaner, la più razzista ed intransigente.
Quella che a me sembra non essere pienamente sviluppata nelle analisi recenti, è la considerazione della realtà economica del Sud Africa. Al momento dell'uscita dall'apartheid, la leadership nera si trovò a dover gestire un'economia che dipendeva (e tuttora dipende in buona misura), per le sue esportazioni, in larga misura dalle risorse minerarie e in secondo luogo da quelle agricole ed agroindustriali (il Sud Africa esporta derrate alimentari in tutto il continente africano). Il crimine più grande è stato quello di gestire in modo liberista, e prono agli interessi industriali esterni, l'industria mineraria, e di non avviare, in forme ovviamente molto morbide e progressive, una riforma agraria.
Però su questi aspetti occorre intendersi: L'Anc non avrebbe potuto oggettivamente nazionalizzare le concessioni minerarie già in essere, perché avrebbe subito la stessa sorte che subì Mobutu nel 1975, quando fece una drastica nazionalizzazione delle miniere dello Zaire: un feroce boicottaggio sui mercati internazionali dei minerali, ed enormi penalizzazioni competitive derivanti dall'affidare a personale inesperto la gestione.
L'Anc avrebbe però dovuto avviare un percorso morbido di nazionalizzazione, iniziando ad esempio dalla proprietà statale delle nuove concessioni, per passare poi all'imposizione di forme di joint venture paritarie Stato/privati sulle concessioni esistenti, al fine di evitare pesanti boicottaggi, e soprattutto di acquisire un know how nella gestione statale delle miniere. E solo a quel punto, nazionalizzare completamente le concessioni in essere. In questo periodo intermedio, poi, avrebbe dovuto costringere le compagnie minerarie non a rispettare i ridicoli parametri del programma BEE (black economic empowerment) che, come peraltro ammette lo stesso governo sudafricano, non è un'azione redistributiva, ma soltanto un intervento (peraltro molto mitigato nel caso di multinazionali che operino nel Paese) per incrementare la partecipazione azionaria e manageriale dei neri nelle imprese minerarie, che peraltro nel 2010 era, nel settore in questione, pari ad appena il 9%, contro l'obiettivo del 15%. L 'Anc non doveva accontentarsi di avere qualche dirigente nero nell'organigramma delle imprese minerarie, oppure qualche mini-azionista nel capitale, a mò di scimmietta per ingannare i fessi (peraltro, stante la endemica corruzione che attraversa il Governo dell'Anc, neri selezionati non di rado in base alla loro fedeltà al partito) oppure gioire perché l'83% della manodopera nelle miniere è nera (peccato però che agli operai venga pagato un salario da fame, e vengano stipati, come bestie, in township fatiscenti e prive di servizi, che ricordano un bel pò le township dei tempi dell'apartheid). Inoltre, da quanto riferisce il Fedusa, il secondo sindacato del Paese, nel settore del platino, dove è esplosa la rivolta, non vi è contratto collettivo, e quindi non vi sono diritti minimi garantiti uniformemente, ma solo contratti aziendali, con i quali le imprese strangolano i lavoratori.  
L'Anc avrebbe invece dovuto imporre salari minimi dignitosi, abitazioni decenti, condizioni di sicurezza sul lavoro su standard ottimali, turni di riposo adeguati, diritti per i lavoratori. Non scimmiette da esibire come prova di una presunta uguaglianza nei consigli di amministrazione o nelle assemblee degli azionisti, come previsto dal BEE. Altro che programmi di formazione continua o di start up di nuove micro imprese per i dipendenti, ancora una volta inseriti nel BEE. La base è quella di garantire diritti minimi. E non è stata adempiuta, con la complicità dell'Anc, preoccupato di non disturbare gli investitori esterni, e di mantenere il suo controllo politico sull'elettorato nero, distribuendo prebende ai suoi elettori, anche tramite il programma BEE. Infatti, la piccola borghesia nera arricchitasi tramite il BEE è la base elettorale dell'Anc, mentre il suo braccio sindacale, il COSATU, di gran lunga il sindacato più rappresentativo del Paese, insieme al partito comunista del Sud Africa, alleato di governo (con tanto di Ministri) dell'Anc, vero esempio di stalinista fronte popolare, si sono preoccupati di mantenere sottomesso il proletariato, in un Paese in cui l'astensionismo elettorale oscilla fra il 40 ed il 45%, concentrandosi ovviamente nelle fasce più povere e sfruttate della popolazione, e l'unica opposizione elettoralmente consistente, ovvero Alleanza Democratica, è ancor più a destra dell'Anc.
La reazione del presidente Zuma al massacro (presidente peraltro più noto per i numerosi procedimenti giudiziari per corruzione, reati sessuali, riconoscimenti di figli naturali, bislacche affermazioni come quella per cui “l'Anc governerà il Paese fino alla nuova apparizione di Gesu' Cristo sulla Terra” che per le sue politiche) è a metà strada fra la stupidità e l'ipocrisia: si lamenta del fatto che si sia fatto ricorso alla violenza per risolvere questioni “risolvibili con il dialogo”. Ma di quale dialogo si sta parlando? Con contratti di lavoro aziendali, con un Governo che non fa politiche redistributive o politiche attive del lavoro, ma solo interventi mirati a garantire la riproduzione della piccola borghesia nera di privilegiati a esso legati? Con un partito comunista compiaciuto di stare al potere, ed un sindacato di Governo che reagisce nervosamente, se non aggressivamente, alle iniziative dei sindacati autonomi e di base non allineati alle sue politiche accondiscendenti con il padronato? (Vale la pena di ricordare che il massacro dei 34 minatori è il culmine di una lunga fase di violenza fra il COSATU ed il sindacato autonomo, AMCU, che non è nemmeno riconosciuto ufficialmente come parte integrante delle Commissioni Governo-parti sociali relative all'industria mineraria, come la MIDGETT e la MHSC). 
Un problema analogo riguarda la questione agraria. Non basta richiamare l'esigenza di una riforma agraria che espropri i bianchi dalle aziende agricole più redditizie e competitive. Un processo di tale tipo, condotto in modo troppo rapido e radicale, porterebbe semplicemente ad una grave crisi alimentare, ed alla catastrofe del settore agricolo. Tale esperimento è stato fatto da Mugabe, nello Zimbabwe: l'esproprio brutale delle proprietà terriere dei bianchi e la loro redistribuzione a coltivatori neri ha portato il Paese, un tempo autosufficiente sotto il profilo alimentare, ad una gravissima e persistente penuria di generi alimentari di base, ed a una enorme miseria, specie nelle aree rurali sottoposte alla riforma. Tale processo va condotto progressivamente e in modo accorto, espropriando ed assegnando a coltivatori neri soltanto i terreni improduttivi o a bassa produttività, incentivando la proprietà agricola comune fra bianchi e neri nelle imprese sinora di proprietà dei primi, facilitando forme di cooperazione e di comuni rurali sui terreni agricoli in mano a piccoli agricoltori neri che operano oggi in condizioni di mera sussistenza, incentivando una maggiore meccanizzazione, un maggior utilizzo di tecniche agricole efficienti ed un migliore orientamento al mercato delle stesse imprese agricole di sussistenza in mano ai neri.  
Il problema vero è che la politica sudafricana deve cambiare profondamente direzione. Il richiamo al Freedom Charter del 1955 è solo un feticcio, poiché le cose che vi stavano scritte (inclusa la necessità di nazionalizzare le risorse minerarie, processo che a mio avviso va realizzato, sa pur con la progressività e le cautele di cui ho prlato prima) sono sistematicamte disattese dal partito che del Freedom Charter è in teoria il  portabandiera. Partito di Governo che sta al potere dal 1994, e che ha costruito un sistema di potere basato sulla corruzione, il clientelismo ed il corporativismo sindacale, l'alleanza con i poteri economici esterni, in bocco con poteri bianchi ancora in sella dopo la fine dell'apartheid, e con la piccola borghesia nera, l'unica ad aver beneficiato del superamento di tale regime. Governo che, peraltro, con Zuma, ha assunto anche pericolosi atteggiamenti antidemocratici, con episodi preoccupanti di oppositori  che denunciano abusi polizieschi nei loro confronti.


lunedì 20 agosto 2012

L’ottica dell’evoluzione cosmica rimanda ‘speranza’.


di Leonardo Boff*

Dimentichiamo per un momento la nostra visione quotidiana delle cose e tentiamo una lettura della nostra crisi attuale col metro del tempo cosmico. Così forse possiamo capirla meglio, relativizzarla e guadagnare in profondità in funzione della speranza.
Il tempo del cosmo.
Immaginiamo che più o meno 13 miliardi di anni di storia dell’universo siano condensati in un unico secolo. Ogni «anno cosmico» sarebbe equivalente a 113 milioni di anni terrestri. Da questo punto di vista, la terra nasce nell’anno 70 del secolo cosmico e la vita compare negli oceani, con nostra sorpresa, poco dopo, nell’anno 73. Durante quasi due decenni cosmici essa rimane praticamente limitata ai batteri unicellulari. Nell’anno 93, una nuova fase creativa s’inaugura con l’apparizione della riproduzione sessuale degli organismi vivi.
Questi, insieme ad altre forze, furono responsabili del cambiamento della faccia del pianeta, visto che sono stati loro a trasformare radicalmente l’atmosfera, gli oceani, la geologia della Terra. Tutto ciò ha permesso al nostro pianeta di sostenere forme di vita più complesse. Gran parte della biosfera è creazione di questi microorganismi. In questa nuova fase il processo evolutivo si accelera rapidamente. Due anni più tardi, nell’anno 95, compaiono i primi organismi pluricellulari. Un anno più tardi, nel 96, assistiamo all’apparizione dei sistemi nervosi e nell’anno 97alla nascita dei primi organismi invertebrati. I mammiferi appariranno verso la metà dell’anno 98, ossia due mesi dopo i dinosauri e un’immensa varietà di piante.
Cinque mesi cosmici fa, gli asteroidi cominciano a cadere sulla Terra distruggendo molte specie, compresi i dinosauri. Tuttavia, un poco dopo, la Terra, come per vendetta, produce una diversità di vita come mai prima di allora. È in questa era, quando sono apparsi i fiori, che i nostri lontani antenati entrano nello scenario dell’evoluzione. Subito diventano bipedi (12 giorni cosmici fa), e con l’homo habilis cominciano a usare strumenti (circa sei giorni cosmici fa), mentre l’homo herectus conquista il fuoco (soltanto un giorno cosmico fa). Dodici ore cosmiche fa, appaiono gli umani moderni (homo sapiens). Verso sera e durante la notte di questo primo giorno cosmico noi siamo vissuti in armonia con la natura e attenti ai suoi ritmi e pericoli. Fino a 40 minuti fa, la nostra presenza ha avuto pochissimo impatto sulla comunità biotica, momento in cui abbiamo cominciato a domesticare piante e animali e a sviluppare l’agricoltura.
A partire da allora, gli interventi sulla natura sono diventati sempre più intensi fino a quando, 20 minuti fa, abbiamo cominciato a costruire e ad abitare città. Soltanto due minuti fa l’impatto è diventato realmente minaccioso. L’Europa si è trasformata in una città tecnologica e ha dilatato il suo potere attraverso lo sfruttamento colonialista. In questa fase si è formato il progetto-mondo creando un centro con varie periferie e un fossato tra ricchi e poveri. Negli ultimi 12 secondi (a partire dal 1950) il ritmo dello sfruttamento e distruzione ecologica si è accelerato drammaticamente. In questo breve periodo di tempo, abbiamo abbattuto quasi metà delle grandi foreste. Nei prossimi 20 secondi cosmici, le temperature della Terra salgono di 0,5°C e possono, tra poco, arrivare fino a 5°C, mettendo a rischio gran parte della biosfera e milioni di persone.
Negli ultimi cinque secondi cosmici la Terra ha perso una quantità di suolo equivalente a tutta la terra coltivabile della Francia e della Cina ed è stata inondata da decine di migliaia di nuovi prodotti chimici, molti dei quali altamente tossici, che minacciano le basi della vita. Già adesso stiamo decimando tra 27-100.000 specie di esseri viventi ogni anno. Nei prossimi sette secondi cosmici, alcuni scienziati stimano che tra il 20 e il 50% di tutte le specie spariranno. Quando è che si fermerà questo processo? Perché tanta devastazione? Rispondiamo: affinché una piccola porzione dell’umanità potesse o privatamente o in modo corporativo sfruttare i benefici di questo progetto di civiltà. Il 20% dei più ricchi guadagna attualmente 200 volte più che il 20% dei poveri. All’inizio del 2008, prima della crisi economico finanziaria attuale, c’erano 1195 miliardari che possedevano insieme 4,4 trilioni di dollari, ossia più o meno il doppio della rendita annuale del 50% dei più poveri. In termini di rendita l’1% più ricco dell’umanità guadagnava l’equivalente del 57% dei più poveri.
Il tempo della Terra
Il nostro pianeta, frutto di più di 4 miliardi di anni di evoluzione viene divorato da una relativa minoranza umana. Per la prima volta nella storia dell’evoluzione dell’umanità, i problemi riferiti sopra sono precisamente causati da questa minoranza e, pure, in minor proporzione, da tutti noi. I pericoli creati mettono in scacco il futuro del nostro modo di vivere. Eppure, se da un lato enfatizziamo la gravità della crisi, d’altra parte, non vogliamo diffondere visioni apocalittiche che ci causerebbero soltanto paralisi e disperazione. Se questi problemi sono stati creati da noi, potranno pure essere risolti da noi, anche se alcuni sono già in uno stadio irreversibile. Questo significa che c’è speranza di arrivare a una soluzione in modo soddisfacente.
Effettivamente chi ha seguito la Cupola dei Popoli nel giugno scorso a Rio de Janeiro o ha partecipato ai Forum Sociali Mondiali, si rende conto che ci sono migliaia e migliaia di persone coscienti e creative, provenienti dal mondo intero, e che lavorano nella formulazione di alternative pratiche che possono permettere all’umanità di vivere con dignità e senza incidere sulla salute degli ecosistemi e della Madre Terra. Abbiamo le informazioni e conoscenze necessarie per risolvere l’attuale crisi. Quello che ci manca è l’attivazione dell’intelligenza emozionale cordiale che suscita in noi sogni di salvezza, solidarietà, compassione, sentimenti di interdipendenza e di responsabilità universale.
Occorre riconoscere che tutte le minacce che affrontiamo, appaiono come sintomi di una malattia cronica culturale e spirituale. Essa colpisce tutti ma principalmente il 20% che consumano la maggior parte di ricchezza del mondo. Questa crisi ci obbliga a pensare a un altro paradigma di civiltà, perché l’attuale è eccessivamente distruttivo. È quanto siamo venuti scrivendo con frequenza nei nostri articoli. I tempi di crisi possono essere pure tempi di creatività, tempi nei quali nuovi approcci e nuove opportunità appaiono. Il kanji cinese per la crisi, wei-ji, è il risultato della combinazione dei kanjis per il pericolo e per l’opportunità (rappresentati da una poderosa lancia e da uno scudo impenetrabile). Questo non è una semplice contraddizione o un paradosso; i pericoli reali ci spingono a cercare le cause profonde e a procurare alternative per non sciupare l’opportunità.
Per la nostra cultura, la crisi deriva dalla parola sanscrita kri che significa purificare e passare al crogiolo. Pertanto si tratta di un processo, certamente doloroso, ma altamente positivo di purificazione delle nostre visioni e che funziona come un crogiolo per i nostri atteggiamenti etico-spirituali. Tutti e due i significati, quello cinese e quello sanscrito, sono illuminanti.
Il nostro tempo
Dobbiamo rivisitare le fonti della sapienza delle molte culture dell’umanità. Alcune sono ancestrali e arrivano a noi attraverso le più diverse tradizioni culturali e spirituali. Fondamentale la categoria del «ben vivere» delle culture andine.
Altre sono più moderne come l’ecologia profonda, il femminismo e l’ecofemminismo, la psicologia transpersonale e la nuova cosmologia, derivata dalle scienze della complessità, dall’astrofisica e dai nuovi saperi della vita e della Terra.
Termino con la testimonianza di due note ecologiste e educatrici nordamericane, Macy e Brown che affermano: “La caratteristica più straordinaria dell’attuale momento storico della Terra non è che stiamo in cammino verso la devastazione del nostro pianeta, visto che la stiamo facendo già da molto tempo; è che stiamo cominciando a svegliarci da un sonno millenario, per un nuovo tipo di relazione verso la natura, la vita, la Terra, gli altri e con noi stessi. Questa nuova comprensione renderà possibile la tanto desiderata Grande Trasformazione” (Macy e Brown, La nostra vita come Gaia, 2004,37). Essa verrà grazie all’evoluzione e a Dio.
*Leonardo Boff è teologo e membro della Commissione Centrale della Carta della Terra e insieme a M. Hatway, autore di O tao da Libertação, Vozes, 2012.

Tradotto da Romano Baraglia






sabato 18 agosto 2012

Corrotto: che ha il cuore rotto.

di Leonardo Boff

L’indignazione generalizzata davanti alla corruzione in Brasile e nel mondo sta lasciando il posto alla rassegnazione e all’indifferenza.  Di fatto l’impunità è tanto diffusa che la maggioranza delle persone ormai non crede  più a nessuna soluzione.

Su questo argomento, la teologia ha qualche cosa da dire. Essa sostiene che l’attuale condizione umana è dilacerata e decadente (infralapsarica si dice in linguaggio teologico), conseguente a un atto di corruzione. Secondo la narrazione biblica, il serpente ha corrotto la donna; la donna ha corrotto l’uomo; e tutti e due ci hanno lasciato un’eredità di corruzioni su corruzioni al punto che lo stesso Dio «si pentì di aver creato l’essere umano sulla Terra», come ci ricorda il testo della Genesi (6,6). Siamo figli e figlie di una corruzione originaria. Si allegava, negli ambienti cristiani, che ogni male proveniva da questa corruzione originaria, chiamata peccato originale.

Ma questa espressione è diventata estranea al sentire moderno. Sono pochi quelli che vi si riferiscono. Anche così, oso riscattarla, perché contiene una verità innegabile, attestata dalla riflessione filosofica di un Sartre e perfino dal rigorismo filosofico di Kant, secondo il quale «l’essere umano è un legno così contorto che non se ne può ricavare una tavola diritta».

Debbo notare che è un termine creato dalla teologia. Non si trova come tale nella Bibbia. È stato Sant’Agostino a inventarlo nel corso dei dialoghi epistolari con San Girolamo. Con l’espressione “peccato originale” non pretendeva parlare del passato. L’ “originale”non aveva niente a che vedere con le origini primordiali della storia umana. Con essa Sant’Agostino voleva parlare del presente: l’attuale situazione dell’essere umano, nel suo livello più profondo,
 è perversa e marcata da una distorsione che raggiunge le origini della sua esistenza (perciò “originali”). Fece la sua filologia della parola “corrotto”, che sarebbe : avere un cuore (cor)  rotto (rotto, dal verbo ‘rompere’).

Siamo portatori pertanto di una spaccatura interna che equivale a una lacerazione del cuore. In parole moderne: siamo dia-bolici e sim-bolici, sapienti e dementi, capaci di amore e di odio. Questa è la condizione attuale umana. Ma, per curiosità, domandava Sant’Agostino: Quando è cominciata? Risponde lui stesso: da quando conosciamo l’essere umano: dalle “origini” (da qui il secondo senso di “originale”). Ma lui non dà importanza a questa questione. L’importante è sapere che qui e adesso siamo esseri corrotti, corruttibili e corruttori. E che crediamo in qualcuno, il Cristo, che ci può liberare da questa situazione.

Ma dove si manifesta più visibilmente questo stato di corruzione? A rispondere  è il famoso Lord Acton (1843-1902),  cattolico:  “Sta negli investiti del potere”. Enfaticamente afferma: “Il mio dogma è la generale malvagità degli uomini di potere; sono coloro che più si corrompono”. E fece un’affermazione sempre ripetuta: “Il potere ha la tendenza a corrompersi e quello assoluto corrompe assolutamente”. Perché, esattamente, il potere? Perché è uno degli archetipi più poderosi e tentatori della psiche umana; ci dà il senso dell’onnipotenza e che siamo un piccolo “Dio”. Per questo Hobbes, nel suo Leviatano (1651)  conferma: “Segnalo, come tendenza generale di tutti gli uomini,  un perpetuo e irrequieto desiderio di potere e ancora più potere, desiderio che cessa soltanto con la morte; la ragione di questo risiede nel fatto che non si può di garantire il potere se non cercando ancora più potere. Questo potere si materializza nel denaro. Per questo le corruzioni a cui stiamo assistendo  richiedono sempre denaro e in quantità sempre maggiore. Dice un proverbio del Ghana: “La bocca ride ma il denaro ride meglio”. Il corrotto crede in questa illusione.

Fino ad oggi non abbiamo trovato rimedi per questa ferita interiore. Possiamo soltanto diminuirne il sanguinamento. Credo che alla fine vale il metodo biblico: smascherare il corrotto, lasciandolo nudo davanti alla sua corruzione, e la pura e semplice espulsione dal paradiso, cioè, togliere il corruttore e il corrotto dalla società e metterli in galera.



sabato 11 agosto 2012

Sul ripensamento del rapporto tra lavoro e qualita' della vita.

 
Quando si discute dello sviluppo di un Paese si discute esclusivamente del suo sviluppo economico, non culturale, sociale, ambientale. E questo e', di certo, un limite. Lo sviluppo complessivo di un Paese si riduce miseramente a cartina di tornasole della sua sola crescita economica come se questo fosse sufficiente ad innalzare gli standard di vita della popolazione e ad aumentare il benessere e la qualita' della vita del cittadino. E' necessario ma di certo non sufficiente. Sono un po di anni che ormai sappiamo questa verita'.

 Se poi, la rincorsa sfrenata alla sola crescita economica, oltre che a deprimere la qualita' della vita di sacche sempre piu' vaste di popolazione, ti dimentica riducendoti a vittima sacrificale di forme sempre piu' incisive di poverta', allora alla beffa c'e' anche il danno.
Teniamo conto, infatti, che il reddito disponibile delle famiglie, dal 2000 ad oggi, si e' ridotto del 4% per il quintile piu' povero della popolazione a fronte di una crescita del 9% del PIL pro-capite. Il divario tra la fetta piu' ricca e quella piu' povera della popolazione italiana e' aumentato.
 Quando si percepisce, quasi a pelle, la stanchezza nell’essere forzatamente imprigionati nella povertà e nella miseria della propria condizione sociale mentre intorno si dispiega sfacciatamente il graduale dissolvimento della solidarieta' umana per colpa di una cultura di stampo liberista, ci si rende testimoni di una vera rassegnazione sociale e civile. Una lenta morte culturale che tiene il passo ad un degrado sociale ed economico decennale. Sono otto i milioni di cittadini italiani che vivono in condizione di povertà e quasi quattro milioni in poverta' assoluta. Tutti rivendicano con rabbia la riconquista della propria dignità di essere umano.
 E’, allora, indubbio che la società italiana vada rifondata nel suo tessuto economico. Focalizziamoci su due aspetti. Aumentare e migliorare il lavoro (che sia sempre piu' voluto e non subito) e, parallelamente, migliorare la sua qualita' contestualmente alla qualita' della vita, ricordandoci che il lavoro e' "solo" parte dell'esistenza umana. A rafforzare il binomio lavoro-qualità della vita è l’idea che l’esercizio di un’attività professionale sia strettamente legata alla soddisfazione nella vita sociale. Un lavoro soddisfacente, infatti, porta ad avere contatti sociali, autostima ed una migliore qualità della vita. La disoccupazione di lunga durata, invece, è causa essenziale della povertà e del conseguente deterioramento degli standard di vita. E’ evidente, allora, che una politica economica che si concentri sul lavoro in quanto tale senza prendere in considerazione la qualità della vita dell’individuo sia una politica deficitaria che manca di analizzare il problema lavoro da una prospettiva più ampia, strategica. Parliamo, quindi, di progettualità per la definizione e l’implementazione di nuove tipologie di lavoro inserite in un quadro che tenga conto della dignità della persona e dell’ambiente.
 Cominciamo, quindi, ad incamminarci lungo due binari principali: 1) abbattimento dell'industria inquinante e 2) riconversione del lavoro verso forme occupazionali ambientalmente compatibili (vedi l'ILVA di Taranto) le quali, paradossalmente, potrebbero produrre piu' lavoro e "nuovi" mestieri. Da corollario, ci sarebbe da valorizzare le risorse del Paese e, di conseguenza, le energie da fonti rinnovabili; incentivare la piccola-media impresa per un economia piu' a misura d’uomo; allontanarsi da una mobilita' a combustione interna; implementare una edilizia che tenga conto del giusto utilizzo di materie prime e dello smaltimento di rifiuti prodotti dall’edilizia stessa, evitando il rilascio di sostanze tossiche all’interno degli ambienti costruiti.
 La bonta' delle nostre scelte, le politiche che porteremo avanti andranno pero' misurate a dovere, tenendo conto non della quantita' dello sviluppo, ma della sua qualita'. Dovremo, quindi, fare una battaglia forte per superare il P.I.L, ormai obsoleto e non piu' coerente con le nostre esigenze, ed utilizzare, estendendolo al modello Paese, il Q.U.A.R.S., sintesi di quattro indici: l’indice di Sviluppo Umano, elaborato dall’ONU; l’indice di Qualità Sociale, composto da indicatori su sanità, salute, scuola e pari opportunità; l’indice di Ecosistema Urbano, ottenuto da Legambiente; l’indice di Dimensione della Spesa Pubblica, che valuta i livelli di spesa su istruzione, sanità, ambiente ed assistenza.

Indichiamo, quindi, la strada al Paese e all'Europa. Che sia percorribile e sostenibile. E che dia una speranza.

Manuel Santoro

La fine della siderurgia come parabola della fine della nostra industria nazionale

  di Riccardo Achilli
Mentre l’intero interesse dell’opinione pubblica viene concentrato su fasulle politiche per una fasulla fuoriuscita dalla crisi del debito sovrano, in questi giorni, nella più totale indifferenza del peggior Governo della storia repubblicana (peggiore anche rispetto ai Governi Berlusconi, peggiore del Governo Tambroni-Scelba) si consuma forse l’atto finale della lunga crisi di un settore portante della nostra industria: la siderurgia.

 A Taranto una inutile bonifica ambientale, fatta perlopiù di interventi annunciati anni fa e mai realizzati quando era (forse) utile farlo, consente a vertici politici e sindacali, azienda, società civile di tornare a mettere la testa sotto la sabbia, evitando di sfruttare l’occasione per fare un revamping strutturale dell’impianto, che consenta di risolvere definitivamente il problema ambientale e collocare lo stabilimento alla frontiera tecnologica del settore, rendendolo competitivo con le realtà più avanzate. Mentre intanto il gruppo Riva accusa perdite di esercizio preoccupanti (con un risultato di esercizio negativo per 614 Meuro nel 2009-2010, solo in parte compensato da un utile di 327 Meuro nel 2011, mentre le previsioni per il 2012 appaiono nere, con una fermata di alcuni impianti, a Taranto, già effettuata per motivi di mercato a giugno, prima cioè del sequestro operato dalla magistratura) e scende costantemente nella graduatoria dei maggiori produttori mondiali di acciaio, in un settore in cui le dimensioni contano e le economie di scala sono un fattore competitivo strategico.

A Piombino l’acciaieria ex Lucchini, rilevata nel 2005 dalla russa Severstal, emette gli ultimi rantoli di una lunghissima agonia, rispetto alla quale la politica, nazionale e regionale, non ha trovato niente di meglio, per oltre 15 anni, che sedersi ed aspettare gli eventi. Il periodo concesso dal tribunale per il piano di ristrutturazione del debito aziendale si conclude questo mese, e non vi è stato alcun acquirente pronto a rilevare lo stabilimento, da cui l’azienda controllante si sta chiaramente disimpegnando. 2.000 operai hanno sfilato a fine luglio, per difendere il loro lavoro ed il futuro della siderurgia italiana in un comparto strategico come quello dei prodotti lunghi, nel più assordante silenzio degli organi di stampa e del Paese. Penso in queste ore con angoscia agli ex colleghi piombinesi con cui lavorai oltre 10 anni fa, che non sanno cosa ne sarà della loro vita. Stiamo per perdere un impianto che produceva prodotti ad alto contenuto di know how, rotaie speciali per treni TAV, vergella in acciaio speciale per usi particolari (ad esempio il wire rod for tyres) ecc.

Adesso i soliti, anche a sinistra, diranno che il ciclo produttivo siderurgico a ciclo integrale è obsoleto, che non può più reggere alla concorrenza cinese, indiana o russa, basata su costi di produzione più bassi, che l’aumento del prezzo delle materie prime associato al rallentamento della domanda globale è un mix fatale, che la siderurgia italiana è penalizzata dall’assenza di giacimenti di ferro e carbone, qualche sciocco forse tirerà fuori la vecchia e fasulla storiella che i nuovi materiali sostituiscono l’acciaio (ciò è vero grosso modo per il 10% delle applicazioni possibili dell’acciaio, in realtà).

Ebbene io sostengo che questo mix di argomenti è grosso modo erroneo. Non perché molte di queste cose non siano vere, ma perché non sono determinanti nel creare una crisi generalizzata come quella attuale. Perché l’acciaio a ciclo integrale tedesco, dove i costi del lavoro sono alti, e che affronta lo stesso scenario di mercato di quello italiano, non è così in crisi? Non può mica essere attribuito ai giacimenti di lignite, peraltro quasi esauriti, della ex DDR, o soltanto ad un costo dell’energia effettivamente più basso di quello italiano. Perché la siderurgia a ciclo integrale giapponese, altro Paese ad elevato costo del lavoro, non subisce la stessa crisi?

La verità è che questa situazione discende dalle sciagurate privatizzazioni dell’ILVA effettuate nel 1993-95 dai Governi Ciampi, Berlusconi e Dini, con l’attiva collaborazione dei Presidenti dell’IRI, di allora, ovvero Romano Prodi e Michele Tedeschi, sotto l’ombrello del cosiddetto “patto Andreatta-Van Miert”, che fu una vera e propria cessione di sovranità nazionale nelle politiche industriali italiane a favore della tecnocrazia liberista comunitaria, legata ad interessi economici del capitalismo internazionale, voglioso di papparsi i pregiati bocconi industriali delle partecipazioni statali italiane, cui ovviamente la borghesia italiana di piccolo cabotaggio si precipitò immediatamente, per raccogliere le briciole.

Così, senza alcuna logica economica ed industriale, ed esclusivamente per accontentare pro quota tutti gli interessi privati in gioco, l’ILVA, che unitariamente era il settimo produttore mondiale di acciaio, e godeva delle economie di scala e delle sinergie produttive e commerciali derivanti dalla sua unitarietà, venne spezzettata in tre tronconi, corrispondenti alle sue tre divisioni industriali (prodotti piani, prodotti lunghi, acciai speciali). Quest’ultima divisione, la più avanzata tecnologicamente e la più interessante in termini di mercato ed economici, venne ovviamente ceduta agli interessi capitalistici esterni al Paese, vendendo l’acciaieria di Terni ai tedeschi della Thyssen Krupp. Le altre due divisioni, quasi interamente imperniate su stabilimenti a ciclo integrale (Taranto, Piombino, Servola, Cornigliano, ecc.) vennero vendute, per un piatto di lenticchie (si stima che l’acquisizione della divisione prodotti piani, per 1.740 miliardi di lire, costò a Riva un decimo del suo effettivo valore economico, posto che tale divisione fatturava circa 13.000 miliardi di lire all’anno, e quest’ultimo si rifiutò anche di pagare il prezzo concordato, avviando un lungo processo giudiziario) a due imprenditori lombardi del settore dell’acciaio elettrico (un settore che presenta problematiche impiantistiche, produttive, organizzative e commerciali completamente diverse da quelle del ciclo integrale).

In questo modo, una realtà produttiva che, unitariamente e sotto il controllo dello Stato, aveva chiuso il suo ultimo bilancio di esercizio in utile (487 miliardi di lire distribuite all’azionista-Stato nel 1995, al netto di un accantonamento enorme al fondo rischi, effettuato esclusivamente in vista della privatizzazione, di 453 miliardi) venne trasformata in uno spezzatino, perdendo, come si è detto, le economie di scala e le sinergie di cui il gruppo aveva goduto, e le ex divisioni prodotti piani e prodotti lunghi vennero messe in mano ad imprenditori privi di esperienza nella gestione di stabilimenti a ciclo integrale. Nel periodo in cui lavorai nello stabilimento di Piombino ricordo bene la girandola di direttori della produzione nominati da Brescia e subito bruciati, l’arroganza e la supponenza con cui i bresciani trattavano i lavoratori piombinesi ex ILVA, gli unici che avrebbero potuto insegnare loro come gestire una realtà complessa come Piombino, la sconfitta storica nella gara delle forniture di rotaie per treni ad alta velocità di Trenitalia nel 1997, vinta dall’austriaca Voest Alpine, nonostante i contatti politici di Lucchini, e così via.

Questo capolavoro di privatizzazioni che ha contribuito ad estinguere la siderurgia nazionale è costato allo Stato 1.700 miliardi di lire di svalutazioni “ad hoc” degli impianti dell’ILVA pubblica, effettuate ad arte dall’advisor dell’IRI, l’IMI, per venire incontro agli acquirenti privati; 10.000 miliardi di lire di costi legati ad operazioni di scissione e di messa in liquidazione delle attività non-core dell’ILVA, una ulteriore favolosa cifra per il prepensionamento di circa 14.000 lavoratori siderurgici espulsi all’atto della privatizzazione, a fronte di ricavi da privatizzazione ridicoli (600 miliardi per Terni, 1.460 miliardi per Taranto, una cifra analoga per Piombino).

Di fatto, la imminente chiusura dello stabilimento di Piombino, e le difficoltà economiche di Taranto, sono principalmente il frutto di quella privatizzazione, che consegnò un’azienda artificiosamente spezzettata in tre tronconi in mani sbagliate. Piombino, in particolare, paga l’impossibilità, da parte di Severstal, che lo rilevò dopo il sostanziale fallimento di Lucchini, di raddrizzare una situazione finanziaria e di mercato oramai largamente compromessa dalla catastrofica gestione dei bresciani e di porre rimedio all’esigenza di ammodernare un impianto obsoleto con ingenti investimenti di revamping che i bresciani non avevano fatto. Riva finora è riuscito a galleggiare solo perché sfrutta le economie di scala dello stabilimento siderurgico più grande d’Europa e anche grazie a pingui vendite di pezzi del patrimonio immobiliare dell’ILVA, degne più di un immobiliarista che di un imprenditore dell’acciaio.

Ma il canto del cigno della siderurgia a ciclo integrale italiana deriva altresì dalla totale assenza di una politica industriale da parte del ragionier Monti, incapace di rimettere urgentemente mano al settore in caduta verticale, rinazionalizzando gli impianti o quantomeno predisponendo una programmazione pubblica a sostegno della siderurgia nazionale. Il nuovo decreto  sulla “golden power”, che peraltro, rispetto alla precedente normativa della golden share, non a caso contestata dai liberisti di Bruxelles al servizio dei liquidatori dell’industria nazionale, prevede poteri di intervento pubblici molto più limitati, non contempla nel suo perimetro di azione settori di base portanti per la stessa sopravvivenza di un’industria nazionale, come la siderurgia e la chimica di base. Nessuno si chiede come mai tutti i Paesi manifatturieri del mondo mantengano e difendano una importante presenza nazionale nei due citati settori (USA, Giappone, Cina, Germania, Francia, Corea del Sud, persino l’India e l’emergente Brasile) mentre da noi il rag. Monti non sente la necessità di proteggere tali settori. Nessuno si chiede quanto importanti possano essere esigenze di prossimità geografica delle produzioni industriali di base rispetto ai settori industriali utilizzatori, come sia importante garantirsi la sicurezza della produzione e degli approvvigionamenti nazionali in tali settori, da cui dipende l’attività produttiva dell’intera industria manifatturiera, di quella delle costruzioni, e di numerosi settori del terziario (i trasporti navali ed il settore portuale, ad esempio). Quando i sindacati sono andati a discutere con il governo del dossier-Piombino, si sono ritrovati a dover discutere con un sottosegretario! Un sottosegretario? Nessun Ministro si è sentito in dovere di discutere della vicenda che rischia di lasciare il Paese senza più una produzione siderurgica importante nei prodotti lunghi, con un intero sottosettore produttivo che scompare? Nessuno capisce che questa vicenda segna un passaggio determinante verso la stessa cessazione della vocazione manifatturiera del nostro Paese?

L’unica soluzione oggi sarebbe quella di una rinazionalizzazione di quel poco che resta della gloriosa storia dell’acciaio nazionale, vero fulcro del miracolo economico italiano, o quantomeno di una ripresa di programmazione pubblica di settore. Ma oggi, persino una parte cospicua della sinistra appare rassegnata, per non dire quasi felice, della fine di questa storia, ansiosa di potersi liberare, in nome di una modernità idiota, degli ultimi segmenti di proletariato industriale (gli unici ad avere un potenziale di lotta sociale propulsivo)cui non ha più niente da proporre, e nei confronti dei quali si è sputtanata, proponendo economicamente improbabili (ed ambientalmente impossibili) riconversioni delle aree ex siderurgiche, verso i servizi (soprattutto il turismo, ma non manca chi, cavalcando la moda, propone di riconvertirle verso la produzione di energia rinnovabile o di servizi Ict, spuntano poi le consuete proposte di costruire centri commerciali laddove c’erano gli altiforni) o verso l’artigianato, legato ai servizi turistici e commerciali.

Occorrerebbe insegnare Marx ai bambini della prima elementare, per spiegare a questo popolo rincoglionito da un mito di modernità e di progresso nell’alveo del capitalismo terziarizzato, di economisti raffazzonati e venduti,  a questa sinistra post moderna e post ideologica (che finisce spesso per diventare anche post-sinistra) il ruolo fondamentale dell’industria per lo sviluppo economico (che non a caso spiega i  miracoli della Cina, di Taiwan, del Brasile, e di altre economie emergenti anche in passato) ed il ruolo sostanzialmente improduttivo e redistributivo  di gran parte delle attività terziarie. Pensiamo ad un futuro in cui avremo solo camerieri, commesse di negozio, viticoltori e produttori di formaggio, ed in cui lasceremo ad altri la produzione di ricchezza reale? Non c’è futuro per i parassiti, nel capitalismo. Per costoro, c’è solo il declino verso una povertà sempre maggiore. Ognuno merita la nemesi che si è guadagnato.

venerdì 10 agosto 2012

Che cosa esigere dal capitalismo neo liberale in crisi.

 di Leonardo Boff*

La crisi del neoliberismo ha raggiunto il cuore dei paesi centrali che si arrogavano il diritto di guidare non solo i processi economico-finanziari, ma perfino il corso della storia umana.
In crisi è l’ideologia politica dello Stato minimo e delle privatizzazioni dei beni pubblici, ma anche il modo di produzione capitalistica, estremamente esacerbato dalla concentrazione del potere come mai si era visto prima nella storia. Il nostro parere è che questa crisi ha carattere sistemico e terminale.
Sempre il genio del capitalismo ha scoperto vie d’uscita favorevoli al suo proposito di accumulazione illimitata. Per questo usava tutti i mezzi, compresa la guerra. Guadagnava distruggendo e guadagnava ricostruendo. La crisi del 1929 si è risolta non attraverso l’economia ma attraverso la seconda guerra mondiale. Oggigiorno non pare praticabile il ricorso alla guerra, che sarebbe talmente distruttiva da estinguere la vita umana e gran parte della biosfera. Comunque non è proprio certissimo che il capitalismo nella sua pazzia non arrivi a servirsi anche di questo mezzo. Questa volta si frappongono due limiti insormontabili, il che giustifica l’opinione che il capitalismo sta concludendo il suo compito storico.
Il primo è il mondo saturo, cioè, il capitalismo ha occupato tutti gli spazi per la sua espansione a livello planetario. L’altro, veramente insormontabile, è il limite del pianeta Terra. I suoi beni e servizi sono limitati e molti non rinnovabili. Durante l’ultima generazione, abbiamo bruciato più risorse energetiche di quanto non avessimo fatto nell’insieme delle generazioni anteriori, come ci garantisce l’analista culturale italiano Luigi Soja. Che cosa faremo quando queste raggiungeranno un punto critico, oppure semplicemente saranno esaurite? La scarsità di acqua potabile può mettere l’ Umanità di fronte a una decimazione di milioni di vite.
I controlli e i correttivi proposti finora sono stati semplicemente ignorati. La Commissione delle Nazioni Unite sulla Crisi Finanziaria e Monetaria Internazionale, il cui coordinatore era il premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz (chiamata CommissioneStiglitz) si proponeva un grande sforzo per presentare, a partire dal gennaio 2009, riforme intrasistemiche di tipo keneysiano isieme alla proposta di una riforma degli organismi finanziari internazionali (FMI, Banca Mondiale) e della Organizzazione Mondiale de Commercio (OMC). Si prevedeva la creazione di un Consiglio di Coordinamento Economico Globale allo stesso livello del Consiglio di Sicurezza, la costituzione di un sistema di riserve globali, per controbilanciare l’egemonia del dollaro come moneta di riferimento, la istituzione di una fiscalizzazione internazionale, l’abolizione dei paradisi fiscali e delle Agenzie di certificazione. Nulla è stato accettato. Soltanto l’ Onu ha accolto la costituzione permanente di un Gruppo Esperti per la Prevenzione delle Crisi, a cui nessuno dà importanza perché quello che realmente conta sono le borse e la speculazione finanziaria.
Questa constatazione scoraggiante ci convince che la logica di questo sistema egemonico può rendere il pianeta non più amichevole per noi, può portare a catastrofi socio ecologiche così gravi al punto di costituire una minaccia per la nostra civiltà e per la specie umana. Certo è che questo tipo di capitalismo che durante la Rio +20 si è rivestito di verde con l’intenzione di mettere un prezzo a tutti beni e servizi naturali e comuni dell’ Umanità, non mostra condizioni a medio e a lungo termine per assicurare la sua egemonia.
Dovrà sorgere un’altra forma di abitare il pianeta Terra e di utilizzare i suoi beni e servizi. La grande sfida consiste nel modo di guidare il processo di transizione in direzione di un mondo post capitalista libero. Questo avrà come centro il Bene Comune dell’Umanità e della Terra e sarà un sistema di sostegno di ogni tipo di vita, che esprima una nuova relazione di appartenenza e di sinergia con la natura e con la Terra. Produrre è necessario, ma rispettando le possibilità e i limiti di ogni ecosistema, non per accumulare e basta, ma per venire incontro, in forma sufficiente e decente alle richieste umane.
Importante è pure aver cura di ogni forma di vita e cercare l’equilibrio sociale, senza lasciare che ci pensino le future generazioni che hanno diritto a una Terra integra e abitabile. Non è in questo spazio che dobbiamo spiegare alternative in corso. Ci atterremo a quello che può essere fatto intrasistemicamente, visto che è non è possibile uscirne a breve scadenza.
Assistiamo al fatto che l’America Latina e il Brasile, nella divisione internazionale del lavoro, sono condannati a esportare minerali e commodities, beni naturali come alimenti, granaglie e carne. Per fare fronte a questo tipo di imposizione, dovremmo seguire i passi già suggeriti da vari analisti, specialmente da un grande amico del Brasile Francois Houtard nei suoi scritti e nel suo recente libro con altri collaboratori: «Un paradigma poscapitalista: el Bien Común de la Humanidad» (Panama, 2012).
In primo luogo, dentro al sistema, lottare per norme ecologiche e regolamenti internazionali che abbiano cura il più possibile dei beni e dei servizi naturali importati dai nostri paesi; che trattino della loro utilizzazione in forma socialmente responsabile ed ecologicamente corretta. La soja è innanzitutto un alimento degli umani, e solo ‘dopo’ degli animali. In secondo luogo, aver cura della nostra autonomia, rifiutando le imposizioni del neocolonialismo da parte dei paesi centrali che ci tengono come un tempo, ai margini, subalterni, servi, puri fornitori di quello che manca loro in beni naturali. Innanzitutto dobbiamo aver cura di incorporare tecnologie che diano valore aggiunto ai nostri prodotti, creiamo innovazioni tecnologiche e orientiamo l’economia, prima di tutto verso il mercato interno e solo dopo verso quello esterno; in terzo luogo, esigere dai paesi importatori che inquinino il meno possibile nei loro ambienti e che contribuiscano finanziariamente al risanamento e alla rigenerazione ecologica degli ecosistemi da cui importano beni naturali specialmente, nel caso del Brasile, dell’Amazzonia e del Cerrado. Si tratta di riforme, non ancora di rivoluzioni. Ma indicano la direzione del nuovo e aiutano a creare le basi per proporre un altro paradigma che non sia il prolungamento dell’attuale, perverso e decadente.

*Leonardo Boff è teologo e filosofo, dottore honoris causa in politica presso l’università di Torino.


mercoledì 8 agosto 2012

El futuro es solidaridad universal y socialismo ecológico

  por Rómulo Pardo Silva
El socialismo actual debe repensarse porque se vive una realidad inédita en la historia y el futuro necesita una visión estratégica diferente a la conocida. En el presente dominado por el capitalismo las tareas de los socialistas son reflexionar, consensuar y formular un programa con sus instrumentos de aplicación. Luego difundirlo integrado en la base social para crecer con conductas consecuentes. 
No es su momento para alcanzar el poder pues es imposible gobernar hoy sin integrarse al modelo global. Las condiciones para el socialismo se darán a medida que se vivan las crisis del colapso sistémico.
El sistema capitalista desaparecerá. Necesita un crecimiento económico permanente que es insostenible porque los recursos del planeta son finitos y no existen los medios científico-tecnológicos para producirlos.
Los dueños del poder global saben que la continuidad del capitalismo es imposible. El Club de Roma, una ONG del sistema preocupada del futuro, encargó un estudio al norteamericano  Instituto Tecnológico de Massachusetts cuyo informe fue publicado en 1972 con el nombre de Los límites al crecimiento. Su conclusión fue quesi el actual incremento de la población mundial, la industrialización, la contaminación, la producción de alimentos y la explotación de los recursos naturales se mantiene sin variación, alcanzará los límites absolutos de crecimiento en la Tierra durante los próximos cien años”. Lo mismo está demostrado matemáticamente: “Si la economía creciera un 3% anual durante el siglo 21 el producto debería doblarse cada 23 años, el 2100 habría aumentado un 1600%, el 2115 un 3200%, el 2138 un 6400%...” (1).
La economía actual solo está agotando de manera irresponsable y egoísta recursos que deberían estar a disposición de la humanidad durante millones de años.
El empobrecimiento que sufre el planeta es indesmentible. Cada año la extracción de petróleo baja un 6% y descienden las reservas de gas y carbón. Cada vez hay más demanda y escasez de agua, la World Wildlife Fund después de estudiar más de 400 sistemas fluviales concluyó que cerca de 2.700 millones de personas sufren falta de agua al menos un mes del año. La sobreexplotación de animales y flora por razones económicas pone a cada vez más especies bajo amenaza de extinción, situación en la que se encuentran ya el 41 por ciento de los anfibios, el 25 por ciento de los mamíferos, el 13 por ciento de las aves y el 30 por ciento de las coníferas. Los océanos están al borde de una extinción masiva comparable a la de eras prehistóricas (2), el 90% de algunas especies de peces ha desaparecido por la sobrepesca y científicos advierten que toda la pesca comercial podría colapsar en las próximas décadas. Yacimientos de manganeso, bauxita, rodio, cobalto fueron declarados lugares estratégicos por Estados Unidos, al ritmo actual el cobre se habrá agotado en 115 años, China ante el declive de sus reservas de tierras raras para garantizar su futuro ordenó restringir la producción y racionalizar su uso. La escasez de tierras de cultivo se suple con la tala de selvas, cada año se destruyen 9,4 millones de hectáreas, en 2010 la deforestación amazónica aumentó en un 994% respecto al 2009 (3), el capital multinacional de Europa, EEUU, Asia, para su seguridad alimentaria ha comprado 26 millones de hectáreas en Argentina y Brasil, según el Banco Mundial el año 2011 extranjeros acapararon 41 millones de hectáreas de tierras cultivables africanas.
A lo anterior se suman otros problemas muy graves, el cambio climático, la sobreproducción industrial, la fragilidad financiera, el aumento de población, la falta de puestos de trabajo, el peligro de guerra nuclear. El capitalismo podría eventualmente superarlos, pero no el agotamiento de recursos naturales.
En el futuro una nueva civilización obligadamente tendrá que ser sostenible, de economía mundial, decrecida, planificada y consumo racionado. La vida material austera solo irá acompañada del goce ilimitado de la cultura, educación, arte, recreación. Es la única forma de impedir la desaparición de la especie humana.Esa época por venir podrá tener un régimen fascista mundial para los poderosos de Occidente o uno socialista solidario al servicio de toda la humanidad y las especies. La opción anterior entre capitalismo y socialismo ahora es ecofascismo o ecosocialismo.
El proyecto nazi occidental de las élites capitalistas existe y tiene como objetivos apoderarse de todos los recursos naturales del planeta, instaurar el gobierno de las corporaciones y eliminar una parte de la población. Se materializa mediante un proceso permanente que utiliza pretextos para justificar cada avance. Su instrumento en última instancia decisivo es el poder militar.
El plan nunca se ha publicado pero se puede inferir de declaraciones de personas representativas y de las acciones del bloque.
James Blaine que presidió en Washington la primera Conferencia Panamericana en 1890 expresó “… debemos ser amos absolutos del continente americano y de las aguas que lo rodean. Logrado esto no hay plan de conquista territorial o comercial que no podamos ejecutar con éxito. (4)
George Kennan, figura clave de la Doctrina Truman para la Guerra Fría, escribió: “Poseemos cerca de un 50% de la riqueza del mundo, pero sólo un 6,3% de su población... Nuestra verdadera tarea en el período venidero es diseñar un modelo de relaciones que nos permita mantener esta posición de disparidad... para hacerlo tenemos que deshacernos de todo sentimentalismo… ; nuestra atención tendrá que concentrarse por doquier en nuestros objetivos nacionales inmediatos... Deberíamos dejar de hablar de objetivos vagos e irreales como ser los derechos humanos, el aumento de los niveles de vida, y la democratización. No está lejano el día en el que vamos a tener que tratar en conceptos directos de poder. Mientras menos nos entraben las consignas idealistas, tanto mejor.” (5)
Esta mentalidad nazi fue expresada ahora por el rabino Yitzhak Shapira: Si en tiempo de guerra la presencia de un no judío pone en peligro la vida de un judío está permitido matarlo aunque no tenga ninguna responsabilidad por la situación; se recomienda matar a los que apoyen o animen a los enemigos; se puede matar civiles enemigos si eso favorece la guerra: está permitido matar niños si es evidente que de mayores pueden resultar "dañinos". (6)
El poderoso Club Bilderberg de empresarios, militares y políticos de las potencias occidentales promueve una economía de crecimiento cero, la reducción de la población y un orden mundial de un gobierno, un ejército, una economía y una ideología. Un participante, el banquero James P. Warburg, afirmó: “Guste o no guste tendremos un gobierno mundial. La única cuestión es si será por concesión o por imposición”.
Noam Chomsky explica que “La doctrina de Bill Clinton era que EEUU estaba autorizado a utilizar la fuerza militar para asegurar ‘el acceso desinhibido a mercados clave, suministros energéticos y recursos estratégicos’, sin siquiera la necesidad de inventar pretextos…”.
La OTAN el único bloque militar mundial, declara que su misión es la defensa del modo de vida de los países desarrollados que la controlan, es decir de asegurar su alto consumo. Creada para el Atlántico norte ahora se expande hacia el este y sur globales. En los últimos doce años liderada por Estados Unidos ha realizado acciones de guerra contra Yugoslavia, Afganistán, Iraq, Somalia, Sudán, Pakistán, Yemen y Libia.
El gigantesco y costoso aparato militar de Estados Unidos está pensado para operar en todo el planeta. Está presente en el espacio extraterrestre y ciberespacio, todos los océanos, más de 800 bases en el extranjero; tiene un programa de cohetes para alcanzar cualquier lugar de la Tierra en una hora. Su enorme fuerza terrestre y aérea, la declaración de emplear armas nucleares, el desarrollo de potentes bombas convencionales, el escudo antimisiles que permite golpear con impunidad, la preparación para hacer guerras simultáneas, no tienen otra finalidad que la voluntad de imponer un imperio de carácter absoluto.
La política actual de esas potencias persigue claramente las metas de esa estrategia futurista.
El control de los recursos: guerra en Libia, secesión de Sudán, desestabilización de Venezuela, plan de ataque a Irán, (países con petróleo). El poder único: cerco geográfico a China y Rusia, Estados Unidos que tiene once portaaviones le pide a China que explique para qué necesita el único que posee, (los dos países con posibilidad de enfrentarse con éxito a Occidente). La reducción de la población: indiferencia por 1000 millones de personas con hambre crónica, 1200 millones que carecen de agua potable, 10 millones de niños que mueren antes de los cinco años por causas evitables, (menos consumidores y territorios despoblados).
Atilio Boron devela esta política de conquista: “el (objetivo) fundamental, a largo plazo, es el control de la Amazonía, lugar donde se depositan enormes riquezas que el imperio, en su desorbitada carrera hacia la apropiación excluyente de los recursos naturales del planeta, desea asegurar para sí sin nadie que se entrometa en lo que su clase dominante percibe como su hinterland natural: agua, minerales estratégicos, petróleo, gas, biodiversidad y alimentos. Para los más osados estrategas estadounidenses la cuenta amazónica, al igual que la Antártida, es un área de libre acceso en donde no se reconocen soberanías nacionales y abierta, por eso mismo, a quienes cuenten con "los recursos tecnológicos y logísticos" que permitan su adecuada explotación. Es decir, los Estados Unidos… ¿O es que alguien tiene dudas de que, cuando llegue el momento, Estados Unidos no vacilará un segundo en apelar a la fuerza para defender sus vitales intereses amenazados por la imposibilidad de acceder a los recursos naturales encerrados en esa región?”.
Pepe Escobar adelanta sobre el futuro: “De las guerras por la energía a las guerras por el agua, el siglo XXI será testigo de una feroz lucha por los restantes recursos naturales del mundo. El tablero de este ajedrez es global. Los riesgos son enormes. La mayoría de las batallas serán invisibles. Todas serán cruciales… Así, no es extraño que el periódico China Military, publicado por el Ejército Popular de Liberación (EPL) chino, así como algunos sectores del mundo académico, afirmen ya abiertamente que China debe abandonar la política de perfil bajo adoptada desde la época de Deng Xiaoping y apostar por un ejército mayor, capaz de defender sus intereses estratégicos en todo el mundo…”.
El socialismo para la nueva civilización mundial, por el contrario, debe compartir los recursos naturales, establecer la paz, seguridad e igualdad para todos, crear una red democrática para el gobierno mundial, definir una estrategia de lucha frente al proyecto de los dueños de las corporaciones, sus militares y sus masas.
Desgraciadamente el discurso del socialismo muestra un interés secundario por el futuro. Los socialistas no ignoran que el sistema está en su etapa final pero conservan como propuesta un crecimiento económico permanente en una sociedad justa. Por su carácter científico la mayoría debe tener conciencia que eso es imposible, pero su interés de ganar adhesión electoral para ser gobierno no les permite criticar la demanda popular por consumismo.
El deseo generalizado de consumo depredador es un impedimento insalvable hoy para el socialismo de futuro. En la actualidad se le considera un derecho parte de la libertad y miles de millones lo han ejercido aunque sea mínimamente. Ya en 1920 Georg Lukács sostenía: "El proletariado sigue intensamente preso en las formas intelectuales y emocionales del capitalismo”.
Luigino Bracci dice de Venezuela: “Cuando falló la aprobación de la reforma constitucional en diciembre de 2007, Chávez comprendió que el pueblo no estaba listo para una radicalización de la revolución. Fue el pueblo el que le dijo "No" a un montón de cambios realmente revolucionarios, y Chávez lo dijo aquella vez: había que "bajarle dos" a la revolución. Los famosos 5 motores se apagaron y se tuvo que suspender un montón de cambios socialistas que nos tenían llenos de expectativas… Y estemos claros: La mayoría de los venezolanos, por muy chavistas que se digan, han terminado creyendo que el socialismo es que les llegue más dinero en sus quincenas, más tickets de alimentación, que el gobierno les dé una casa, una nevera barata, un carro iraní, un trabajo en el gobierno. Que tengas un médico que te atienda gratuitamente. Que el chamo estudie gratis. Pareciera que socialismo es simplemente pedir y recibir.” (7)
El poder todavía lo tienen los capitalistas. Rusia, China, Vietnam, los países del este europeo, prueban que las condiciones imperantes conducen a ellos. Cuba para enfrentar sus dificultades económicas apoya la formación de un sector de empresarios privados.
Los socialistas de futuro a pesar de la incomprensión del momento deben explicar claramente su propuesta sostenible solidaria, el decrecimiento inevitable, el peligro nazicorporativo. Tienen que integrarse como minoría en la base para impulsar desde ya los cambios que se correspondan con el programa.
En la civilización socialista todos tendrán los bienes y servicios en el nivel que permita la conservación de la humanidad millones de años. El humano debe vivir con la naturaleza y en sus límites. Los goces inmateriales son los únicos inagotables.

Referencias
1 George Monbiot, El problema del aumento de la población es importante pero ni mucho menos está entre los primeros de la lista
3 Informe del Instituto del Hombre y el Medio Ambiente de la Amazonia (AMAZON) de Brasil.
4 Documentales Telesur
5 George Kennan en “Policy Planning Study 23,” elaborado para el Departamento de Estado en 1948. Citado en Noam Chomsky: “What Uncle Sam Really Wants,” p. 11.
6 Uri Avnery Los ayatolás judíos http://www.rebelion.org/noticia.php?id=132309
7 Luigino Bracci, Socialismo: Quiero mi carro, mi casa, mi nevera, mi buen sueldo y que todo sea bonito siempre, http://www.rebelion.org/noticia.php?id=131002
Nella diffusione e ripubblicazione di questo articolo citiamo la fonte: www.utopiarossa.blogspot.com

sabato 4 agosto 2012

Imperium purgamenti





La natura incontaminata pare non ci sia più, sia perché la invadente globalizzazione del pensiero unico ha ormai occupato anche gli angoli più reconditi del pianeta, sia perché il concetto di contaminazione è diventato, di fatto, molto labile.
Dove trovare infatti oggi un luogo che non sia pervaso anche in piccola parte, dalle scorie della produzione dell'apparato tecnologico, quello che tutta l'umanità utilizza ora come una protesi ineliminabile?
Persino ai poli è arrivato l'inquinamento e in misura, solo apparentemente paradossale, maggiore che altrove.
Non parliamo poi delle contaminazioni culturali, dato che proprio la globalizzazione non fa altro che espandere i territori e le occasioni di incontro-scontro tra i vari ambiti culturali, per amore o per forza. E la forza pare purtroppo oggi ben maggiore dell'amore, dell'intercultura, e c'è solo da augurarsi che non si unisca con la peggiore delle contaminazioni, quella delle guerre e dei conflitti, con i quali si riciclano persino i rifiuti tossici radioattivi, nelle armi all'uranio impoverito.
L'uomo del futuro, ma che dico, del presente, è già necessariamente, un essere umano contaminato per definizione, la contaminazione già comincia a portarla nei geni.
Non più homo sapiens ma homo contaminatus, che in latino significa impuro, macchiato, violato dalla nascita, e destinato, come per un vero peccato originale da scontare sulla pelle, ad affacciarsi al mondo con il marchio della contaminazione, forse persino dal grembo materno.
Potrà dunque solo evolversi e sopravvivere adattandosi agli habitat più contaminati e sperando così in una ulteriore mutazione genetica.
L'homo immundus, l'uomo immondizia sarà il più evoluto.
Perciò, non mandiamo l'esercito in Campania o in qualsiasi regione ormai irrimediabilmente contaminata del nostro Bel Paese, perché lì sta nascendo la nuova specie eletta, quella chiamata ad affermarsi di più nel mondo, la specie dei monnezzari, ormai adattabili ad ogni contaminazione e ad ogni habitat, destinati così a sopravvivere più di altri e a dominare il mondo.
Lasciamo che il processo evolutivo faccio il suo corso, che la monnezza penetri nel profondo del DNA di tutti coloro che non sanno più dove mettere i loro rifiuti e che li considerano ormai quasi una sorta di patrimonio archeologico da consegnare alle future generazioni, magari accumulandosi accanto a più autentici siti archeologici di altre antiche civiltà per altro sicuramente più belle ed ecocompatibili, lasciamo che poi a macchia d'olio si espanda in Italia, in Europa, nel mondo mediterraneo e altrove, fino raggiungere prima, a dominare poi e infine ad impregnare tutti. E torneremo infine ad avere il nostro imperium purgamenti. L'impero della stirpe dei monnezzari.
Meglio lo capiremo, e prima che mai un nuovo e più potente verbo si affermerà nel mondo, portandoci verso straordinari, più immondi e gloriosi destini.

Ave, Italia Felix, tibi gloria purgamenti!

C.F.