di Carlo Felici
20
settembre, a costo di non piacere, considero questa data come triste
e mi accingo a spiegare perché.
Tutti
sanno a cosa corrisponde, ma non tutti si soffermano sul fatto che
essa fu il suggello definitivo della nascita e dell'affermazione
della monarchia in Italia. E cioè della emarginazione definitiva
delle idee mazziniane che resteranno criptate nel nostro paese per
circa un secolo e ad un costo elevatissimo.
Tre
anni prima Garibaldi aveva cercato disperatamente di far insorgere
Roma, ma era stato tradito.
Anche
questa è una storia poco nota, quella dei comitati di liberazione di
allora che erano sostanzialmente tre: uno garibaldino, uno mazziniano
ed uno savoiardo. Tutti e tre conoscevano bene i piani insurrezionali
che avrebbero dovuto essere coordinati tra loro, con l'arrivo di
Garibaldi alle porte di Roma che la popolazione insorta avrebbe
dovuto aprire alla sua entrata trionfale.
Ma
come sappiamo, non andò così..non tutti sanno però perché, e si
affrettano a dire che la popolazione non insorse, punto e basta.
Questo
è un grande torto verso coloro che insorsero davvero, prima tra
tutti Giuditta Tavani Arquati, trucidata con la sua famiglia a
Trastevere, poi i fratelli Cairoli, martirizzati a Villa Glori, Monti
e Tognetti ghigliottinati per avere fatto saltare la caserma degli
zuavi pontifici e tanti altri che morirono o furono buttati nelle
prigioni pontificie per gli altri tre anni, fino a Porta Pia.
La
Convenzione di settembre prevedeva che se Roma fosse insorta e si
fosse liberata da sola dal potere pontificio, la Francia non sarebbe potuta intervenire. Tutto quindi si fece soprattutto da parte dei
garibaldini affinché ciò avvenisse, anche la stessa fuga del
Generale, da Caprera in modo rocambolesco. Ma qualcuno tradì.
Cavallotti
lo spiega bene nel suo libro introvabile, almeno in forma cartacea,
ma digitalizzato nel web, dal titolo “Storia
della insurrezione di Roma del 1867".
Il comitato sabaudo spifferò i piani segreti con tutti i dettagli
alle autorità francesi, le quali li fecero trasmettere a quelle
pontificie. E quando scattò l'ora X per gli insorti, essi furono
tutti messi in condizione di non nuocere, di non approvvigionarsi di
armi e soprattutto di non estendere la loro azione al resto della
popolazione, privati di mezzi e di armi, con una Roma in stato di
assedio e cosparsa di spie e gendarmi. Gli stessi fratelli Cairoli
non trovarono gli insorti ad accoglierli, ma solo i carabinieri
pontifici.
Il
resto è storia nota, nonostante la vittoria di Monterotondo,
Garibaldi si avvicinò fino alle mura di Roma ma, consapevole del
fallimento insurrezionale, si ritirò cercando poi di raggiungere
Tivoli e di iniziare la sua guerra di guerriglia, poi venne
intercettato e sconfitto a Mentana, subendo moltissime defezioni
soprattutto da parte di quei mazziniani che si erano illusi che si
arrivasse nella Città Eterna per restaurare una Repubblica che non
aveva mai capitolato.
La
monarchia era infatti allora fragilissima, soprattutto per il suo
completo fallimento nel Meridione e per le sconfitte subite
militarmente l'anno precedente ed in particolare, perché incapace di
unire gli italiani ma protesa solo ad asservirli ai suoi interessi, prova ne è la paura che Mazzini tornasse protagonista e la sua conseguente necessità di braccarlo e di costringerlo in clandestinità.
L'Italia non era ancora destinata a diventare definitivamente uno
stato sabaudo. Garibaldi era ancora, nonostante tutto, generale della
Repubblica Romana e Mazzini era vivo ed attivo anche se arrestato, esiliato e costretto a nascondersi. Molti danno per
assodato il fatto che, se per caso egli fosse entrato in Roma,
avrebbe immediatamente consegnato la città al re come aveva fatto
con il Meridione a Teano; ebbene quei molti dimenticano l'Aspromonte
che segnò profondamente l'animo del Generale, il quale scrisse
testualmente che in quella occasione si era tentato di ucciderlo e
dimenticano altresì la sua denuncia nel neonato Parlamento Italiano
della guerra civile in corso nel Meridione e soprattutto trascurano
che egli, seppur rispettato, era considerato un recluso da tenere
fermamente a bada.
Non
era affatto scontato, dunque, che con Garibaldi sul Campidoglio
acclamato dalla folla, la Francia costretta a prendere atto del fatto
compiuto, e i Savoia restati a guardare, si potesse ripetere la farsa
di Teano, a cui Garibaldi fu costretto solo obtorto collo, perché
aveva ancora di fronte tre eserciti: quello borbonico, quello
piemontese e quello francese, ed era a corto di ulteriori volontari.
Alcuni
suoi fedelissimi lo avevano rimproverato sia prima dell'Aspromonte e
sia prima di Mentana, tra di loro Bixio e Medici, eroi della
Repubblica Romana, passati però dalla parte della monarchia.
Bixio
ci fu quel 20 settembre e fu mandato a Roma proprio verso quella
Porta S. Pancrazio che egli aveva strenuamente difeso con Medici, gli
toccò solo di prendersi le cannonate prima della breccia di Porta
Pia, come azione diversiva, ma ebbe poi la soddisfazione di vedere
sfilare davanti a sé gli antiboini in uscita dileggiati da tutti i
suoi soldati.
A
Porta Pia morì una trentina di uomini, tra soldati e ufficiali
italiani e ne fu ferito un centinaio, le cannonate iniziarono a
tuonare dalle 5 del mattino, martellando le mura dove erano più
fragili ed aprendo una breccia ed un varco dopo circa cinque ore.
Come
avrebbe potuto entrare Garibaldi essendone privo? Mai senza una
popolazione insorta, e ad impedire ciò pensarono i sabaudi, come
abbiamo già visto.
Però
il sacrificio di Mentana servì a mandare all'aria i piani che
prevedevano già da tempo una sorta di scambio: all'Italia il Lazio e
Roma al Papa, con la permanenza di soldati antiboini, in buona
sostanza soldati francesi, che prestavano servizio con armi francesi,
nel corpo degli zuavi pontifici.
Il
sangue dei garibaldini di Mentana fu fatale, gli stessi che poi erano
tutti ragazzini, gli unici rimasti fedeli al generale, tanto commosso
che allora cercò pure di andare a morire in mezzo a loro e fu
frenato a stento da Canzio che trattenne le briglie del suo cavallo
gridandogli: "Per chi vuole farsi ammazzare Generale?"
Non
sappiamo cosa gli rispose Garibaldi, ma si può ben immaginare che
gridasse...per quei ragazzi!!! Soprattutto avendo visto tanti più
maturi di loro darsela a gambe. Andate a vedere i crani dell'ossario
di Mentana e vi accorgerete che sono in gran parte di ragazzini.
Sappiamo
bene che Porta Pia fu possibile solo dopo la sconfitta della Francia
e soprattutto dopo l'esilio di Napoleone III e (questo spesso si
trascura) previa autorizzazione della Prussia protestante che aveva
buon gioco a vedere terminare l'esistenza del potere temporale
cattolico.
Non
fu quindi un atto eroico, ma una delle prime “furbate” di uno
stato monarchico che si distinguerà per varie altre, nelle altre
guerre in cui sarà coinvolto, guadagnandosi la meritata fama di
voltagabbana, di forte con i deboli e debole con i forti
20
Settembre dunque, data nefasta per i repubblicani, ma lo stesso
gloriosa per lo Stato laico, per la Massoneria, per tutti coloro che,
a torto o a ragione, volevano la fine di un assurdo assolutismo
teocratico il quale, come canto del cigno, non aveva saputo far di
meglio che decretare l'infallibilità di un uomo: il papa. Un uomo
che non può sbagliare. Un uomo fuori da quella storia che dovrebbe
continuamente imparare proprio dai suoi costanti errori.
Roma
divenne capitale, ma non si ebbe l'abolizione della odiosa tassa sul macinato, la repressione dell'usura, la distribuzione delle terre e delle
case al popolo, come fece Mazzini con la Repubblica Romana del 1849,
quanto piuttosto la speculazione edilizia, l'acquisto a prezzi
stracciati di terreni agricoli rivenduti a prezzi da capogiro, una
volta varato il piano edilizio di quell'area che una volta era piena
di prati e vigne ed oggi si chiama solo Prati, una copia topografica
di Torino in piccolo. Non si ebbe la fine dei monopoli e la
tassazione progressiva, ma il ripristino della odiosissima tassa sul
macinato e lo stato italiano, da allora ad oggi, continuò con la sua
sequela infinita di tangenti e tangentari, pur non mancando chi ne
denunciasse il malaffare. Solo che allora, come nel caso del
Garibaldino Cavallotti, lo si faceva fuori con un duello, oggi con il
tritolo. I ministri della malavita non hanno fatto altro che darsi il
cambio in più di 150 anni, e pare non abbiano ancora smesso.
Abbiamo celebrato il 150° anniversario di
Porta Pia e nel frattempo sarebbe bene meditare proprio non tanto su
quello che essa è stata, ma piuttosto su quello che avrebbe potuto
rappresentare, in diverse condizioni, e che tuttora può significare,
in termini di libertà, fratellanza, uguaglianza.
Pensate
se al posto della statua del bersagliere ci fosse stata quella di una
vittoriosa Giuditta Tavani Arquati, incinta con il suo fucile,
paragonabile a quella di Anita sul Gianicolo. O quella di Mazzini sul
Campidoglio. La storia di Roma e quella dell'Italia sarebbero
diverse.
Però
la storia, si sa, non si fa né coi sé né coi ma. La storia è
quella che è, la storia siamo noi che impariamo o disertiamo le sue
lezioni.
Imparare
da Porta Pia, vuol dire imparare a capire continuamente cosa è stata
l'Italia, come è nata e quale appuntamento con la democrazia abbia
mancato, e soprattutto quanto sia costato questo mancare, in termini
di vite umane, sacrifici, disuguaglianze, tale appuntamento. Massacro
del Meridione, cannonate al popolo, speculazioni e scandali
finanziari, trasformismo, colonialismo, guerre mondiali, fascismo,
leggi razziali, Italia in macerie, Italia occupata tuttora
militarmente...tutto questo la monarchia se lo è portato dietro e lo
ha causato per quasi 80 anni, eppure i suoi governi erano più onesti
e meno corrotti di quelli che abbiamo avuto dopo l'avvento della
Repubblica, risorta dalle ceneri del Gianicolo circa 100 anni dopo.
Perché? Perché quelle ceneri non furono e non sono tuttora sparse
abbastanza sul capo di tutti noi. Perché la monarchia prima e
l'ideologia comunista e cattolica poi, hanno rimosso accuratamente
quell'esempio fulgido di libertà e democrazia sociale del '49, come
velleitario e utopistico, mentre resta tuttora un esempio cristallino
specialmente per tutti quelli che cercano invano di rimettere insieme
i cocci di una sinistra sparita proprio a causa delle sue
contraddizioni interne, a causa del continuo riciclarsi del suo
cattocomunismo.
Così
non basta un buco su un muro a garantire la fine di un potere
temporale restaurato con gli scellerati Patti Lateranensi, non basta
uno stato unitario ad unire gli italiani, non basta una bandiera
senza più stemma monarchico per garantire libertà, fratellanza e
uguaglianza, non basta nemmeno la Costituzione più bella del mondo,
ereditata da quella che fu nel 1849 la più avanzata del mondo,
sebbene dimostri tuttora di resistere a chi vorrebbe demolirla e
proviene proprio da quell'ambito che ha rimosso la storia del
Gianicolo, di Mameli, di Garibaldi e Mazzini.
Ci
vuole ben altro per unire gli italiani, è necessario quel concetto
di Patria che fa a cazzotti con certo populismo sovranista e
nazionalista e che Mazzini identificava con queste fulgide parole:
"La Patria non è un territorio; il territorio non ne è
che la base, la Patria è l'idea che sorge su quello; è il pensiero
d'amore, il senso di comunione che stringe in uno tutti il figli di
quel territorio, finché uno solo tra i vostri fratelli non è
rappresentato dal voto nello sviluppo della vita nazionale, finché
uno solo vegeta ineducato tra gli educati, finché uno solo, capace e
voglioso di lavoro, langue, per mancanza di lavoro, nella miseria,
voi non avrete la Patria come dovreste averla, la Patria di tutti, la
Patria per tutti. Il voto, l'educazione, il lavoro sono le tre
colonne fondamentali della nazione; non abbiate posa finché non
siano per opera vostra solidamente innalzate" Carlo
Rosselli, che ne ereditò meglio di altri il pensiero, sintetizzò
così: "La nostra patria non si
misura a frontiere e cannoni, ma coincide col nostro mondo morale e
con la patria di tutti gli uomini liberi" Sarà
il caso di ricordarlo a chi si accanisce a innalzare muri e a
commerciare armi qui come altrove.
Roma
per Mazzini, nel 1849, doveva essere l'innalzare di quelle colonne, per
tutti gli uomini liberi che allora accorsero da tutta Europa a
lottare e a morire, immolandosi per quella Patria con la maiuscola.
Il
20 Settembre del 1870 l'Italia si dette infine una patria però con
la lettera minuscola, vincolata ad un blasone monarchico, piccina
nelle sue angherie.
Dal
blasone monarchico si è saputa liberare, dalla minuscola, purtroppo,
ancora no, perché mancano non solo quelle colonne in una Italia di
precariato, disuguaglianze sociali e sfascio della scuola pubblica,
ma manca soprattutto quella cultura politica che da sempre ha voluto
innalzarle e senza di essa avremo nel nostro paese solo miseri
baldacchini per assopire e coprire le clientele e le ammucchiate più
svariate.
Non
è però mai troppo tardi per educare gli italiani ad un nuovo 20
settembre, ad una nuova stagione politica, educativa e culturale, per
farlo bisogna però ricordarlo insieme al 9 febbraio e magari farne
di nuovo festa nazionale.
“Finché
domestica o straniera, voi avete tirannide, come potere aver Patria?
La Patria è la casa dell'uomo, non dello schiavo”
G.
Mazzini.
Carlo
Felici
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