Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo

Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo
Garibaldi, pioniere dell'Ecosocialismo (clickare sull'immagine)

lunedì 10 settembre 2018

Venti settembre, tra malinconia e speranza




                                                            di Carlo Felici


20 settembre, a costo di non piacere, considero questa data come triste e mi accingo a spiegare perché.
Tutti sanno a cosa corrisponde, ma non tutti si soffermano sul fatto che essa fu il suggello definitivo della nascita e dell'affermazione della monarchia in Italia. E cioè della emarginazione definitiva delle idee mazziniane che resteranno criptate nel nostro paese per circa un secolo e ad un costo elevatissimo.
Tre anni prima Garibaldi aveva cercato disperatamente di far insorgere Roma, ma era stato tradito.
Anche questa è una storia poco nota, quella dei comitati di liberazione di allora che erano sostanzialmente tre: uno garibaldino, uno mazziniano ed uno savoiardo. Tutti e tre conoscevano bene i piani insurrezionali che avrebbero dovuto essere coordinati tra loro, con l'arrivo di Garibaldi alle porte di Roma che la popolazione insorta avrebbe dovuto aprire alla sua entrata trionfale.
Ma come sappiamo, non andò così..non tutti sanno però perché, e si affrettano a dire che la popolazione non insorse, punto e basta.
Questo è un grande torto verso coloro che insorsero davvero, prima tra tutti Giuditta Tavani Arquati, trucidata con la sua famiglia a Trastevere, poi i fratelli Cairoli, martirizzati a Villa Glori, Monti e Tognetti ghigliottinati per avere fatto saltare la caserma degli zuavi pontifici e tanti altri che morirono o furono buttati nelle prigioni pontificie per gli altri tre anni, fino a Porta Pia.


La Convenzione di settembre prevedeva che se Roma fosse insorta e si fosse liberata da sola dal potere pontificio, la Francia non sarebbe potuta intervenire. Tutto quindi si fece soprattutto da parte dei garibaldini affinché ciò avvenisse, anche la stessa fuga del Generale, da Caprera in modo rocambolesco. Ma qualcuno tradì.
Cavallotti lo spiega bene nel suo libro introvabile, almeno in forma cartacea, ma digitalizzato nel web, dal titolo “Storia della insurrezione di Roma del 1867". Il comitato sabaudo spifferò i piani segreti con tutti i dettagli alle autorità francesi, le quali li fecero trasmettere a quelle pontificie. E quando scattò l'ora X per gli insorti, essi furono tutti messi in condizione di non nuocere, di non approvvigionarsi di armi e soprattutto di non estendere la loro azione al resto della popolazione, privati di mezzi e di armi, con una Roma in stato di assedio e cosparsa di spie e gendarmi. Gli stessi fratelli Cairoli non trovarono gli insorti ad accoglierli, ma solo i carabinieri pontifici.
Il resto è storia nota, nonostante la vittoria di Monterotondo, Garibaldi si avvicinò fino alle mura di Roma ma, consapevole del fallimento insurrezionale, si ritirò cercando poi di raggiungere Tivoli e di iniziare la sua guerra di guerriglia, poi venne intercettato e sconfitto a Mentana, subendo moltissime defezioni soprattutto da parte di quei mazziniani che si erano illusi che si arrivasse nella Città Eterna per restaurare una Repubblica che non aveva mai capitolato.
La monarchia era infatti allora fragilissima, soprattutto per il suo completo fallimento nel Meridione e per le sconfitte subite militarmente l'anno precedente ed in particolare, perché incapace di unire gli italiani ma protesa solo ad asservirli ai suoi interessi, prova ne è la paura che Mazzini tornasse protagonista e la sua conseguente necessità di braccarlo e di costringerlo in clandestinità. L'Italia non era ancora destinata a diventare definitivamente uno stato sabaudo. Garibaldi era ancora, nonostante tutto, generale della Repubblica Romana e Mazzini era vivo ed attivo anche se arrestato, esiliato e costretto a nascondersi. Molti danno per assodato il fatto che, se per caso egli fosse entrato in Roma, avrebbe immediatamente consegnato la città al re come aveva fatto con il Meridione a Teano; ebbene quei molti dimenticano l'Aspromonte che segnò profondamente l'animo del Generale, il quale scrisse testualmente che in quella occasione si era tentato di ucciderlo e dimenticano altresì la sua denuncia nel neonato Parlamento Italiano della guerra civile in corso nel Meridione e soprattutto trascurano che egli, seppur rispettato, era considerato un recluso da tenere fermamente a bada.
Non era affatto scontato, dunque, che con Garibaldi sul Campidoglio acclamato dalla folla, la Francia costretta a prendere atto del fatto compiuto, e i Savoia restati a guardare, si potesse ripetere la farsa di Teano, a cui Garibaldi fu costretto solo obtorto collo, perché aveva ancora di fronte tre eserciti: quello borbonico, quello piemontese e quello francese, ed era a corto di ulteriori volontari.
Alcuni suoi fedelissimi lo avevano rimproverato sia prima dell'Aspromonte e sia prima di Mentana, tra di loro Bixio e Medici, eroi della Repubblica Romana, passati però dalla parte della monarchia.
Bixio ci fu quel 20 settembre e fu mandato a Roma proprio verso quella Porta S. Pancrazio che egli aveva strenuamente difeso con Medici, gli toccò solo di prendersi le cannonate prima della breccia di Porta Pia, come azione diversiva, ma ebbe poi la soddisfazione di vedere sfilare davanti a sé gli antiboini in uscita dileggiati da tutti i suoi soldati.
A Porta Pia morì una trentina di uomini, tra soldati e ufficiali italiani e ne fu ferito un centinaio, le cannonate iniziarono a tuonare dalle 5 del mattino, martellando le mura dove erano più fragili ed aprendo una breccia ed un varco dopo circa cinque ore.
Come avrebbe potuto entrare Garibaldi essendone privo? Mai senza una popolazione insorta, e ad impedire ciò pensarono i sabaudi, come abbiamo già visto.
Però il sacrificio di Mentana servì a mandare all'aria i piani che prevedevano già da tempo una sorta di scambio: all'Italia il Lazio e Roma al Papa, con la permanenza di soldati antiboini, in buona sostanza soldati francesi, che prestavano servizio con armi francesi, nel corpo degli zuavi pontifici.
Il sangue dei garibaldini di Mentana fu fatale, gli stessi che poi erano tutti ragazzini, gli unici rimasti fedeli al generale, tanto commosso che allora cercò pure di andare a morire in mezzo a loro e fu frenato a stento da Canzio che trattenne le briglie del suo cavallo gridandogli: "Per chi vuole farsi ammazzare Generale?"
Non sappiamo cosa gli rispose Garibaldi, ma si può ben immaginare che gridasse...per quei ragazzi!!! Soprattutto avendo visto tanti più maturi di loro darsela a gambe. Andate a vedere i crani dell'ossario di Mentana e vi accorgerete che sono in gran parte di ragazzini.
Sappiamo bene che Porta Pia fu possibile solo dopo la sconfitta della Francia e soprattutto dopo l'esilio di Napoleone III e (questo spesso si trascura) previa autorizzazione della Prussia protestante che aveva buon gioco a vedere terminare l'esistenza del potere temporale cattolico.
Non fu quindi un atto eroico, ma una delle prime “furbate” di uno stato monarchico che si distinguerà per varie altre, nelle altre guerre in cui sarà coinvolto, guadagnandosi la meritata fama di voltagabbana, di forte con i deboli e debole con i forti
20 Settembre dunque, data nefasta per i repubblicani, ma lo stesso gloriosa per lo Stato laico, per la Massoneria, per tutti coloro che, a torto o a ragione, volevano la fine di un assurdo assolutismo teocratico il quale, come canto del cigno, non aveva saputo far di meglio che decretare l'infallibilità di un uomo: il papa. Un uomo che non può sbagliare. Un uomo fuori da quella storia che dovrebbe continuamente imparare proprio dai suoi costanti errori.
Roma divenne capitale, ma non si ebbe l'abolizione della odiosa tassa sul macinato, la repressione dell'usura, la distribuzione delle terre e delle case al popolo, come fece Mazzini con la Repubblica Romana del 1849, quanto piuttosto la speculazione edilizia, l'acquisto a prezzi stracciati di terreni agricoli rivenduti a prezzi da capogiro, una volta varato il piano edilizio di quell'area che una volta era piena di prati e vigne ed oggi si chiama solo Prati, una copia topografica di Torino in piccolo. Non si ebbe la fine dei monopoli e la tassazione progressiva, ma il ripristino della odiosissima tassa sul macinato e lo stato italiano, da allora ad oggi, continuò con la sua sequela infinita di tangenti e tangentari, pur non mancando chi ne denunciasse il malaffare. Solo che allora, come nel caso del Garibaldino Cavallotti, lo si faceva fuori con un duello, oggi con il tritolo. I ministri della malavita non hanno fatto altro che darsi il cambio in più di 150 anni, e pare non abbiano ancora smesso.
Abbiamo celebrato il 150° anniversario di Porta Pia e nel frattempo sarebbe bene meditare proprio non tanto su quello che essa è stata, ma piuttosto su quello che avrebbe potuto rappresentare, in diverse condizioni, e che tuttora può significare, in termini di libertà, fratellanza, uguaglianza.
Pensate se al posto della statua del bersagliere ci fosse stata quella di una vittoriosa Giuditta Tavani Arquati, incinta con il suo fucile, paragonabile a quella di Anita sul Gianicolo. O quella di Mazzini sul Campidoglio. La storia di Roma e quella dell'Italia sarebbero diverse.
Però la storia, si sa, non si fa né coi sé né coi ma. La storia è quella che è, la storia siamo noi che impariamo o disertiamo le sue lezioni.
Imparare da Porta Pia, vuol dire imparare a capire continuamente cosa è stata l'Italia, come è nata e quale appuntamento con la democrazia abbia mancato, e soprattutto quanto sia costato questo mancare, in termini di vite umane, sacrifici, disuguaglianze, tale appuntamento. Massacro del Meridione, cannonate al popolo, speculazioni e scandali finanziari, trasformismo, colonialismo, guerre mondiali, fascismo, leggi razziali, Italia in macerie, Italia occupata tuttora militarmente...tutto questo la monarchia se lo è portato dietro e lo ha causato per quasi 80 anni, eppure i suoi governi erano più onesti e meno corrotti di quelli che abbiamo avuto dopo l'avvento della Repubblica, risorta dalle ceneri del Gianicolo circa 100 anni dopo. Perché? Perché quelle ceneri non furono e non sono tuttora sparse abbastanza sul capo di tutti noi. Perché la monarchia prima e l'ideologia comunista e cattolica poi, hanno rimosso accuratamente quell'esempio fulgido di libertà e democrazia sociale del '49, come velleitario e utopistico, mentre resta tuttora un esempio cristallino specialmente per tutti quelli che cercano invano di rimettere insieme i cocci di una sinistra sparita proprio a causa delle sue contraddizioni interne, a causa del continuo riciclarsi del suo cattocomunismo.
Così non basta un buco su un muro a garantire la fine di un potere temporale restaurato con gli scellerati Patti Lateranensi, non basta uno stato unitario ad unire gli italiani, non basta una bandiera senza più stemma monarchico per garantire libertà, fratellanza e uguaglianza, non basta nemmeno la Costituzione più bella del mondo, ereditata da quella che fu nel 1849 la più avanzata del mondo, sebbene dimostri tuttora di resistere a chi vorrebbe demolirla e proviene proprio da quell'ambito che ha rimosso la storia del Gianicolo, di Mameli, di Garibaldi e Mazzini.
Ci vuole ben altro per unire gli italiani, è necessario quel concetto di Patria che fa a cazzotti con certo populismo sovranista e nazionalista e che Mazzini identificava con queste fulgide parole: "La Patria non è un territorio; il territorio non ne è che la base, la Patria è l'idea che sorge su quello; è il pensiero d'amore, il senso di comunione che stringe in uno tutti il figli di quel territorio, finché uno solo tra i vostri fratelli non è rappresentato dal voto nello sviluppo della vita nazionale, finché uno solo vegeta ineducato tra gli educati, finché uno solo, capace e voglioso di lavoro, langue, per mancanza di lavoro, nella miseria, voi non avrete la Patria come dovreste averla, la Patria di tutti, la Patria per tutti. Il voto, l'educazione, il lavoro sono le tre colonne fondamentali della nazione; non abbiate posa finché non siano per opera vostra solidamente innalzate" Carlo Rosselli, che ne ereditò meglio di altri il pensiero, sintetizzò così: "La nostra patria non si misura a frontiere e cannoni, ma coincide col nostro mondo morale e con la patria di tutti gli uomini liberi" Sarà il caso di ricordarlo a chi si accanisce a innalzare muri e a commerciare armi qui come altrove.
Roma per Mazzini, nel 1849, doveva essere l'innalzare di quelle colonne, per tutti gli uomini liberi che allora accorsero da tutta Europa a lottare e a morire, immolandosi per quella Patria con la maiuscola.
Il 20 Settembre del 1870 l'Italia si dette infine una patria però con la lettera minuscola, vincolata ad un blasone monarchico, piccina nelle sue angherie.
Dal blasone monarchico si è saputa liberare, dalla minuscola, purtroppo, ancora no, perché mancano non solo quelle colonne in una Italia di precariato, disuguaglianze sociali e sfascio della scuola pubblica, ma manca soprattutto quella cultura politica che da sempre ha voluto innalzarle e senza di essa avremo nel nostro paese solo miseri baldacchini per assopire e coprire le clientele e le ammucchiate più svariate.
Non è però mai troppo tardi per educare gli italiani ad un nuovo 20 settembre, ad una nuova stagione politica, educativa e culturale, per farlo bisogna però ricordarlo insieme al 9 febbraio e magari farne di nuovo festa nazionale.
Finché domestica o straniera, voi avete tirannide, come potere aver Patria? La Patria è la casa dell'uomo, non dello schiavo”
G. Mazzini.

Carlo Felici








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