di Carlo Felici
La nuova
formazione politica socialista finalmente è nata con il suo statuto, il suo
simbolo e la sua piattaforma programmatica, come molti auspicavano da tempo, in
piena autonomia, ma anche in perfetta sinergia con quelle forze che essa stessa
dovrebbe contribuire a rianimare e a rinnovare.
Diciamocelo
francamente, compagni, la cosa più difficile, oggi, è proclamare e fare cose di
sinistra, senza però pronunciare quella parola invano, dato che per molti è
diventata quasi una rabbiosa bestemmia.
E lo
sappiamo bene perché, per anni di pietosa ipocrisia e di collateralismo che,
tuttora, a non pochi suscitano solo rabbia e risentimento.
Ma non si
può buttare “il bambino con l’acqua sporca”, non si può liquidare una intera
storia ed una cultura ultrasecolare, così come una tradizione di valori
intramontabili, solo perché lo sport preferito della “sinistra” (mettiamola
sempre tra virgolette) è stato reiteratamente quello di chiedere ed ottenere un
piattino di lenticchie da chi, invece, ha sempre preferito lo sport del “trasformismo”
E’ per
questo che Risorgimento Socialista, giustamente, è nato con la caratteristica
specifica di rifiutare ogni legame con il PD, che negli ultimi tempi ha assunto
una fisionomia trasformista tale da fare invidia sia a De Pretis che a Giolitti
e, se il riferimento dei Socialisti Italiani resta Matteotti, che pagò con la
vita la sua strenua opposizione al neotrasformista Mussolini, vincitore
elettorale solo con brogli, intimidazioni e trasformismo all’ennesima potenza,
suffragato da una legge elettorale che lo favorisse e da un listone nazionale
in cui riuscì a mimetizzarsi, oggi, noi, non possiamo che ribadire le stesse
ragioni di intransigenza.
Diciamoci
chiaramente un’altra cosa: non esiste una sorta di identità comune di tutti i
provenienti dal PSI, e questo sia perché il PSI non c’è più, come forza
politica protagonista, da almeno 20 anni, sia perché aveva già iniziato a diversificarsi
al suo interno fortemente dagli anni di Craxi. Di Craxi oggi si può occupare la
storia, riconoscendone meriti e demeriti “sine ira et studio”, senza
accanimento ideologico e con adeguata documentazione, ma il perdurare nel
definirsi socialisti craxiani è un assurdo impraticabile, tanto anacronistico
quanto deleterio sul piano politico.
Il PSI, oggi,
è un agglomerato di persone legate alle sorti di una segreteria che risulta tanto
autoreferenziale quanto perfettamente telecomandata dal PD, del quale non ha
mai messo in discussione una virgola, negli ultimi tempi, e forse dire questo è
solo un garbato eufemismo.
Altro è
invece fare della cultura e dei valori socialisti il propellente per un vasto
movimento politico che abbia due obiettivi fondamentali.
1) Restituire alla politica di
opposizione e di governo una sua cultura, una sua coerenza e una sua stabilità,
dato che oggi esistono partiti (contenitori) di interessi o di disagio sociale,
del tutto scollegati da valori autenticamente politici e da una cultura che
possa dare loro uno spessore di credibilità e di coerenza, con il risultato che
essi diventano facile preda o di demagoghi o di corrotti, tali da usare la politica
per fini personali o di lobby.
2) Colmare il vuoto di credibilità che
la stessa politica ha, in conseguenza del punto precedente, determinato nell’elettorato,
il quale se crede ancora fermamente nella democrazia (e prova lampante ne è l’esito
referendario costituzionale), non ha tuttavia più un referente di cui possa
fidarsi per affidargli una seria rappresentatività che rimetta la questione
della democrazia, della formazione e del lavoro al primo posto, rispetto alla
navigazione a vista spesso imposta da una Unione Europea sempre più espressione
di potentati e di lobbies, e sempre meno connessa con le aspirazioni ed i
problemi quotidiani dei popoli europei.
Per far
questo è del tutto evidente che non ci si può presentare come aggregato di
partiti e tanto meno utilizzare lo strumento del trenino elettorale e io
aggiungerei anche, la terminologia di “sinistra”, anche se per molti essa
ancora è indispensabile per marcare certe differenze e un certo radicamento
politico e culturale.
Risorgimento
socialista nasce quindi con un nome che è tutto un programma: il socialismo per
far risorgere un paese contribuendo anche al risorgimento dell’Europa.
L’Europa
delle lobbies e dei potentati economici ha nell’Euro il suo principale strumento
di dominio e spesso di oppressione, specialmente considerando che al suo interno
il debito non è stato mai equamente ripartito, che per colmarlo si è preferito
salvare le banche al posto delle categorie disagiate dei cittadini e che anzi,
quest’ultime, sono state le prime ad essere sacrificate sull’altare del
profitto, falcidiando servizi pubblici indispensabili, stipendi, pensioni, la
scuola e soprattutto la stabilizzazione nel lavoro, rendendo la precarietà
endemica ed i beni comuni indispensabili solo come merce da utilizzare per
incrementare i guadagni.
Il
Capitalismo dal volto umano non esiste, così come non può esistere un Regime
comunista pianificato dal volto umano. Entrambi, la storia lo dimostra
abbondantemente, hanno mortificato la natura umana, non solo nella sua libertà
di espressione e di creatività, ma anche nella sua iniziativa libera e
concorrenziale. Il primo con gli oligopoli e i monopoli, il secondo con una
pianificazione sempre a vantaggio di nomenklature di potere.
Oggi le
sfide economiche e sociali fondamentali sono quelle che affrontano in parallelo
e con stretta connessione, le questioni ambientali e le questioni sociali.
La
prospettiva del XXI secolo vede per la prima volta nella storia dell’umanità,
la stessa sopravvivenza della specie umana sull’unico pianeta in cui può oggi
esistere, essere messa a rischio, sia dalla perdurante devastazione ambientale,
imputabile ad un modello economico che non è disposto a mettere in discussione
le sue basi produttive e distributive, sia dall’incremento vertiginoso del
potenziale bellico dei vari paesi ormai molto numerosi che posseggono armi di
distruzione di massa, sia infine dal rischio che il fenomeno terroristico
diventi endemico e, prima o poi faccia breccia in uno di questi paesi, innescando
una reazione a catena inarrestabile. Questo, in particolare, anche alla luce di
nuove tensioni internazionali tra USA e Russia.
Se i popoli
credono ancora nella democrazia ma le strutture politiche tendono a rinnegarla,
bisogna rimettere, su scala transnazionale, il problema della democrazia e
della Costituzione che la garantisce in ogni Paese, al primo posto nella lotta
politica di ogni movimento e di ogni partito a livello internazionale e
globale.
Dall’Euro
non si può uscire in ordine sparso né mediante la costruzione di un regime
autoritario che, di fatto, abbattendo definitivamente la democrazia, non
farebbe altro che, su scala nazionale, favorire i ceti più ricchi, in grado di
capitalizzare la moneta forte con i loro investimenti e spendendo quella debole
in condizioni di cambio favorevole, per aumentare i loro beni, mentre i ceti
più poveri, costretti ad usare solo quella debole, vedrebbero il loro potere d’acquisto
falcidiato in pochissimo tempo
Dall’Euro però
si può uscire o adottando una moneta concorrenziale circolante nei paesi più
penalizzati come ad esempio quelli dell’Area Meditarranea, oppure ricostruendo
un sistema di cambi vincolati ad un “serpente monetario” che però, temo,
finirebbe con il mordersi la coda perché, in esso, come già accadeva prima
della moneta unica, la moneta forte potrebbe tornare ad imporsi su quelle
deboli, con lo stesso risultato finale di far crescere il debito dei più poveri.
Noi, in
particolare, avendo perso il 25% del potenziale produttivo industriale, negli
ultimi 15 anni, non potremmo certo ritornare alla vecchia politica di stampare
moneta, incrementando il debito (già oggi stratosferico) e contando poi su una
crescita delle esportazioni, comunque soggette a pedaggi doganali, perché
uscire dall’Euro significa automaticamente uscire dalla UE.
Ecco perché
il movimento che deve rimettere la democrazia al primo posto non può avere il
fiato corto e imbastardirsi sul nascere in questioni identitarie o ideologiche
di piccola portata o di prospettiva dietrologica. Esso deve piuttosto
vincolarsi a iniziative transnazionali e ad un coordinamento internazionale,
come di recente ha proposto Varoufakis che spingono verso una nuova radicale riconfigurazione dell'Europa e dell'Euro, senza timore di uscire dall'eurozona.
Per questo,
bisogna procedere in parallelo riaffermando la sovranità nazionale, costituzionale,
e incalzando i potentati della UE sulla ricontrattazione delle regole capestro
che tengono tuttora i popoli europei in una ferrea gabbia di ingiustizia
sociale che tende ad irrigidirsi e a diventare xenofoba.
La questione
dei migranti, infatti, non può che essere affrontata sia ribadendo le ragioni
sovrane di un paese, sia considerando i contesti internazionali in cui i flussi
migratori hanno origine.
Il problema
non è l’immigrato in sé o la sua religione e cultura (ovvio che essi debbano
rispettare quelle di coloro che li accolgono), la questione è l’immigrato come
strumento di incremento della schiavitù salariale per lui e per coloro che
vengono spinti verso di essa dalle stesse mafie e dagli stessi potentati, o
dagli stessi partiti contenitori che lucrano sui flussi migratori.
La dignità
del migrante va di pari passo con quella del lavoratore italiano, garantendo
tutti con precise norme sul lavoro che non rendano la precarietà endemica e non
incrementino forme di sfruttamento e di lavoro nero a vantaggio delle varie
mafie che lo gestiscono.
La Chiesa,
per opera di questo straordinario Pontefice che, non a caso, è sotto continuo
attacco da parte dei poteri forti presenti anche nel Vaticano, si batte
validamente per affrontare in maniera adeguata questo problema, così come per
incrementare la giustizia sociale e la difesa dell’ambiente. La recente
enciclica Laudato sì è un vero e proprio manifesto morale e civile, prima
ancora che politico, per capire come, dove e quando affrontare queste sfide. E’
quindi innegabile che un movimento politico nascente che ha questa ambizione
non può non fare i conti con le spinte più autenticamente innovative che
provengono dall’ambito ecclesiale e in particolare dall’odierno pontificato.
E’
necessario un umanesimo senza antropocentrismo anche perché troppe volte i
sogni prometeici di dominio sul mondo e sulla natura sono finiti in tragiche
devastazioni per l’umanità e per la natura stessa, a partire dalla prima guerra
mondiale, e i socialisti italiani possono tuttora vantarsi di averla aborrita
sin dall’inizio.
E’ lo stesso
Pontefice a dire nell’enciclica menzionata che “perché continui ad essere
possibile occupazione, è indispensabile promuovere una economia che favorisca
la diversificazione produttiva e la creatività imprenditoriale”, cioè una
libera iniziativa che premi quel merito dell’innovazione che costituisce, nel
mercato, vantaggio collettivo, perché porta il livello della concorrenza a
prospettive di qualità superiore, senza basarsi sullo sfruttamento e senza
essere soffocato dal monopolio.
Tutto ciò ci
riporta verso l’interrogativo evangelico: Quo Vadis? Quanto Pietro usciva da Roma
per sfuggire alla persecuzione, quando la delusione e lo sconforto stavano per
prevalere sullo spirito di sacrificio e di testimonianza, egli ebbe il coraggio
di tornare indietro, di fare una conversione a U, che è poi il senso stesso
della parola “metanoia” con cui i primi cristiani definivano il cambiamento
necessario per testimoniare la loro fede.
Poniamocela
anche noi questa domanda: quo vadis? Dove vai? Cosa fai? Scappi? Torni
indietro? E la risposta sia valida e collettiva, una risoluzione data più che da
proclami, da un vero ed autentico cammino, da percorrere e da rinnovare insieme.
E’ dunque
con questa domanda, che è allo stesso tempo un auspicio (mettendolo anche in
guardia dalla costante replica “dimmi con chi vai e ti dirò chi sei), che
formuliamo i nostri migliori auspici a questo soggetto politico nascente,
affinché i pochi diventino molti, affinché il granello di senapa diventi albero
frondoso
Quo vadis, Risorgimento Socialista?
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