Leonardo Boff, teologo e scrittore
Tutti
i paesi, soprattutto quelli che stanno attraversando crisi finanziarie,
com'è il caso del Brasile anno 2015, sono presi in continuazione da
un'idea fissa: dobbiamo crescere; dobbiamo garantire la cresccita del
PIB, che risulta dalla somma di tutte le ricchezze prodotte dal paese.
Crescita è fondamentalmente quella economica derivante dalla produzione
di beni materiali. Questo comporta un alto tasso di iniquità sociale
(disoccupazione e compressione dei salari) e una perversa devastazione
ambientale (esaurimento degli ecosistemi).
In
verità dovremmo piuttosto parlare di sviluppo che comprende elementi
materiali imprescindibili, ma principalmente dimensioni soggettive e
umanistiche, come espansione della libertà, della creatività e delle
forme di modellare la nostra vita. Purtroppo siamo tutti ostaggi di
questo succubo che è la crescita. Già da molto tempo l'equilibrio tra
crescita e preservazione della natura è stata spezzata a favore della
crescita. Il consumo supera ormai del 40% la capacità di riposizione dei
beni e servizi del pianeta, che sta perdendo la sua sostenibilità.
La
Terra sta tentando di cercare nuovi equilibri aumentando la sua
temperatura tra 1,4 e 5,8 C. Comincerebbe dunque l'era delle grandi
devastazioni (l'antropocene) con l'aumento di livello degli oceani.
Questo fenomeno interesserebbe metà delle popolazioni che vivono sulle
coste. Migliaia di organismi vivi non avrebbero tempo sufficiente per
adattarsi o mitigare gli effetti dannosi e sparirebbero. Gran parte
dell'umanità (fino all'80%, secondo alcuni) non potrebbe più continuare
ad esistere in un pianeta profondamente alterato nella sua base
chimico-fisica.
Coglie nel segno l'ambientalista Washington Novaes quando afferma: "Oggi non è più il caso di prendersi cura dell'ambiente, ma di non superare i limiti che potrebbero mettere a rischio la vita".
Alcunici scienziati sostengono che siamo già nelle vicinanze del punto
di non ritorno. E' possibile diminuire la velocità della crisi, ma non
bloccarla.
E'
una questione preoccupante. Nei loro discorsi ufficiali, i Capi di
Stato, gl'imprenditoi e, quel che è peggio, i principali economisti
quasi mai abbordano i problemi dei limiti del pianeta e il disastro che
questo può comportare per la nostra civiltà. Non vogliamo che i notri
figli e nipoti, guardando indietro ci maledicano, noi e tutte la nostra
generazione, perché pur conoscendo le minacce poco o nulla abbiamo fatto
per sfuggire alla tragedia.
L'errore di tutti è stato quello di seguire alla lettera un consiglio
strano di Lord Keynes per uscire dalla grande depressione degli anni
'30:
“Per
almeno 100 anni dobbiamo far finta nell’intimo di noi e davanti a
qualsiasi persona che il bello è sporco e che lo sporco è bello, perché
il sudicio è utile e il bello non lo è. L'avarizia, l'usura e il
sospetto devono essere i nostri "dei", perché sono loro che potranno
guidarci fuori dal tunnel della necessità económica verso la luce del
giorno... Dopo verrà il ritorno ad alcuni principi più sicuri e certi
della religione e del comportamento virtuoso tradizionale: che
l'avarizia è un vizio, che prestare denaro a usura è un crimine e che
l'amore al denaro è detestabile” (Economic possibilities of our Grand-Children). Così pensano i principali responsabili della crisi del 2008, mai puniti.
E' urgente ridefinire nuovi fini e mezzi adeguati a coloro che non
possono più semplicemente produrre devastando la natura e consumando
senza limiti.
Nessuno possiede la formula per uscire da questa crisi di civiltà. Ma
immaginiamo che dovrà orientarsi sulle orme della natura stessa:
rispettare i suoi ritmi, la sua capacità di supporto, dare centralità
non alla crescita, ma al sostegno di qualsiasi tipo di vita. Se i nostri
mezzi di produzione rispettassero i cicli naturali, sicuramente avremmo
il sufficiente per tutti e potremmo preservare la natura, di cui
facciamo parte.
Copriamo le piaghe della terra con cerotti. Le toppe non sono medicine.
Praticamente ci limitiamo a rammendare, illudendoci che stiamo dando
una risposta a urgenze che significano vita o morte.
Traduzione di Romano e Lidia Baraglia
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