Leonardo Boff, teologo e scrittore
Nell'articolo
precedente - la cultura capitalistica è anti-vita e anti-felicità -
abbiamo tentato di mostrare teoricamente che la forza del suo perdurare e
riprodursi risiede nella esacerbazione di un dato della nostra natura
che consiste nell'ansia di auto-affermarsi, di fortificare il proprio io
per non sparire o essere ingoiato dagli altri. Ma essa ricalca e
perfino nega l'altro dato, ugualmente naturale, quello dell'integrazione
dell'io e dell'individuo in un tutto, nella specie, della quale è un
rappresentante.
Ma
è insufficiente fermarsi soltanto all'inizio questo tipo di
riflessione. A fianco del dato originario, è attiva un'altra forza che
garantisce il perpetuarsi della cultura capitalistica. È il fatto che
noi, la maggioranza della società, abbiamo introiettato i "valori" e il
proposito fondamentale del capitalismo che è l'espansione costante della
lucrabilità che permette un consumo illimitato di beni materiali. Chi
non ne ha, li vorrebbe avere, chi li ha, vorrebbe averne di più e chi ha
di più dice che non bastano mai. E per la grande maggioranza, non la
solidarietà, ma la competizione e la supremazia del più forte prevalgono
su qualsiasi altro valore, nelle relazioni sociali e specialmente negli
affari.
Chiave
per sostentare la cultura del capitale e la cultura del consumismo,
della permanente acquisizione di prodotti nuovi: un nuovo cellulare con
più applicazioni, un modello più sofisticato di computer, un paio di
scarpe o un vestito alla moda, facilitazioni nel credito bancario per
rendere possibile l'acquisto-consumo, accettazione acritica della
propaganda dei prodotti ecc.