di Carlo Felici
In una contingenza in cui il premier del nuovismo ad oltranza considera essere la sua parola d'ordine la rottamazione, si rischia che la storia stessa venga assimilata ad una grande discarica tossica. E allora sarà bene ricordare almeno un pochino, le antiche radici della nostra storia, dato proprio che abbiamo scelto come viatico di rinnovamento questo nome: Risorgimento Socialista.
Il Socialismo Italiano è una emanazione diretta delle migliori istanze risorgimentali emerse già alla metà del XIX secolo, affiancando le idee repubblicane e democratiche di Mazzini, con l'opera rivoluzionaria e socialmente avanzata di personaggi come Carlo Rusconi, Giuseppe Garibaldi e Carlo Pisacane.
Il Socialismo Italiano è una emanazione diretta delle migliori istanze risorgimentali emerse già alla metà del XIX secolo, affiancando le idee repubblicane e democratiche di Mazzini, con l'opera rivoluzionaria e socialmente avanzata di personaggi come Carlo Rusconi, Giuseppe Garibaldi e Carlo Pisacane.
Già nella breve ma intensa stagione
della Repubblica Romana esse ebbero modo di concretizzarsi, anche se
non furono le uniche istanze ad animare e vivificare questa primavera
fondante della nostra democrazia. Scriveva infatti allora il
“protosocialista” Carlo Rusconi: Il
socialismo non è un'utopia, non è una vana aspirazione, non è un
delirio di pochi ottimisti che vagheggino un mondo ideale alla
maniera di Moro e di Platone; il socialismo è una verità, è il
fuoco in cui si condensano tutti i raggi delle forze della
rivoluzione; è il sole che rischiara due mondi, uno che cade,
l'altro che sorge; e di esso può dirsi come della Repubblica diceva
Bonaparte (il cugino di Napoleone III anche lui socialista e fervente
repubblicano, ministro della Repubblica Romana n.d.r.): Cieco chi non
lo vede”
Tali
aspirazioni furono sì frustrate dall'intervento francese che riportò
sul trono il Papa Re, ma non cessarono di alimentare il fiume carsico
che trovò poi, nel seguito del processo risorgimentale le sue più
eroiche ed intense risorgive: Carlo Pisacane, anche lui protagonista
della stagione della Repubblica Romana del 1849, rinnovò tali
istanze cercando di realizzare una impresa il cui intento era una
Rivoluzione Socialista, meno di dieci anni dopo. L'intento di
Pisacane era infatti quello di promuovere una rivoluzione sociale
mediante l'attuazione di riforme agrarie che portassero ad abolire la
proprietà privata e ad abbattere l'economia del capitale, radice
ultima della mancanza di iniziativa e della debolezza del popolo
italiano. Pisacane non sognava solo una Italia unita ma soprattutto
una libera dallo sfruttamento e dalla miseria. Fu uno dei pochi se
non l'unico personaggio del nostro Risorgimento ad essere influenzato
anche dalle idee di Carlo Marx, e non per niente ripeteva, molti anni
prima di Rosa Luxemburg, in continuazione: “schiavitù o
socialismo: altra alternativa non v’è” E scrisse di suo pungo un
Saggio sulla Rivoluzione. La sua impresa fallì ma fece tanto di quel
rumore, in Italia e all'estero, che, proprio grazie ad essa,
Garibaldi riuscì a farsi finanziare, specialmente in Inghilterra, la
sua impresa dei Mille.
Così
il Generale fece la sua impresa, con idee socialiste ben stampate
nell'animo, ovunque passò distribuì terre demaniali ai contadini e
abolì la tassa sul macinato. L'eccidio (si fa per dire in quanto
riguardò la fucilazione di soli cinque rivoltosi su decine che
avevano compiuto orribili crimini) di Bronte non venne fatto contro
dei contadini che nemmeno toccarono la cosiddetta ducea di Nelson, ma
contro una masnada di minatori ubriachi che per altro scapparono
appena videro le camicie rosse.
L'idea
del Socialismo di Garibaldi, che lo distingueva da Carlo Marx, non
era quella di una contrapposizione violenta tra le classi sociali, ma
piuttosto di un Socialismo inflessibilmente laico, ideale e non
ideologico, in base al quale solo l'emancipazione morale e materiale
del proletariato avrebbe portato alla scomparsa della società
capitalistica, una lezione che fu poi appresa ed applicata dal
Socialismo riformista di Turati e di Matteotti, il quale si spese
moltissimo per la diffusione della cultura tra le classi popolari.
Garibaldini furono, in primis suo figlio e coloro che cercarono di
realizzare una repubblica fraterna in un Meridione bistrattato e
dimenticato dalla dinastia dei Savoia. Garibaldini coloro che lo
seguirono combattendo per la rinata Repubblica Francese a Digione, lo
erano anche coloro che proseguirono, anche senza di lui, la sua
stessa strada combattendo per la Comune di Parigi, lo furono i
Cafiero e Malatesta che capeggiarono la banda internazionalista del
Matese nel 1877. Dopo la sua morte le sue idee per le quali combatté
le sue ultime battaglie a suon di lettere e partecipazione ad
assemblee operaie e di lavoratori per far nascere un efficace
associazionismo proletario, furono assimilate dieci anni dopo, dalla
nascita del Partito Socialista nelle cui sedi, all'inizio del XX
secolo, campeggiavano i suoi ritratti e il Sol dell'Avvenire, da lui
stesso chiamato a sorgere con la Prima Internazionale e che divenne
il simbolo stesso della storia del Partito Socialista Italiano fin
quasi ai giorni nostri.
Si
può dire anzi, che avere abbandonato quel simbolo non ha affatto
portato fortuna ad un partito ormai ridotto a lumicino proprio perché
ha messo in sordina progressivamente ma inesorabilmente le sue
migliori istanze ideali e i suoi valori più puri.
Ecco quindi il perché della necessità di farlo risorgere, rinnestandolo su
quelle sue antiche e più solide radici che fecero crescere anche le
idee e l'azione di Salvemini, di Carlo Rosselli e di Lombardi, Nenni e Pertini.
Non per niente l'ultima grande stagione del Socialismo Italiano si
conclude con un leader che stava proprio riscoprendo e rilanciando le
sue radici garibaldine: Bettino Craxi. La sua stagione fu densa di luci e di ombre ma non merita certo oggi la damnatio memoriae.
Oggi
noi abbiamo bisogno di un Risorgimento Socialista perché abbiamo
bisogno anche di un Nuovo Risorgimento Italiano, dato che la storia
del Socialismo è indissolubilmente legata alle sorti della storia
del nostro Paese, la storia migliore: quella della emancipazione
sociale, civile e democratica che parte dalle lotte di fine
Ottocento, passa per l'antifascismo, la guerra di Spagna, la
Resistenza e arriva fino al progresso economico e sociale degli anni
sessanta ed ottanta, quando eravamo tra le cinque nazioni più
avanzate al mondo. Il declino del Socialismo Italiano coincide
inesorabilmente con il declino civile, sociale e direi anche morale
dell'Italia.
Bisogna
dunque insorgere e risorgere, essere gli animatori di una sinistra
che oggi non c'è più e che, pur senza spocchie identitarie, non
può esistere né fare a meno di ciò che l'ha creata e fatta
esistere da sempre: il Socialismo Italiano.
Noi
siamo quel granello di senape che non può esimersi dal far crescere
ancora e di più l'albero frondoso da cui deve nascere una Italia
migliore, più giusta, più umana e più pulita.
Il
socialismo italiano non finirà nella damnatio latronum, ma risorgerà
nella communis omnium, nella lotta per la tutela dei beni collettivi,
a partire da quelli vitali: acqua, casa, scuola, lavoro.
Qualcuno ci deve spiegare, oggi e non domani, come può ostinarsi a chiamarsi socialista un partito che rinnega il meglio della sua storia, governando con chi ha distrutto lo Statuto dei Lavoratori, sguazza come a Roma in un verminaio di corrotti, continua a riconoscere diritti acquisiti abusivamente da una oligarchia di predestinati al vitalizio e rinnega quelli sacrosanti di coloro che sono costretti ad essere esodati o ad andare in pensione rincorrendo una sempre più misera carota che si allontana continuamente. Un partito che ha desertificato il futuro dei giovani, condannandoli ad una tutela di genuflessioni crescenti e a pensioni da fame e che per giunta vuole cambiare il 35% della Costituzione a colpi di maggioranza, e vuole varare una leggere elettorale più fascista della legge Acerbo. Con l'Italikum nemmeno Matteotti avrebbe potuto pronunciare il suo celebre discorso! Ma davvero si vuole governare con chi decora i criminali di guerra fascisti?
Questo non solo rende infame l'attuale condizione dei complici di tale governo ma anche insopportabilmente odiosa a chi ha ben presenti nel cuore e nella mente gli ideali perenni del Socialismo Italiano. Contro tutto ciò bisogna lottare già hic et nunc, subito: da qui e da ora, senza tentennamenti, senza attendismi né opportunismi
Qualcuno ci deve spiegare, oggi e non domani, come può ostinarsi a chiamarsi socialista un partito che rinnega il meglio della sua storia, governando con chi ha distrutto lo Statuto dei Lavoratori, sguazza come a Roma in un verminaio di corrotti, continua a riconoscere diritti acquisiti abusivamente da una oligarchia di predestinati al vitalizio e rinnega quelli sacrosanti di coloro che sono costretti ad essere esodati o ad andare in pensione rincorrendo una sempre più misera carota che si allontana continuamente. Un partito che ha desertificato il futuro dei giovani, condannandoli ad una tutela di genuflessioni crescenti e a pensioni da fame e che per giunta vuole cambiare il 35% della Costituzione a colpi di maggioranza, e vuole varare una leggere elettorale più fascista della legge Acerbo. Con l'Italikum nemmeno Matteotti avrebbe potuto pronunciare il suo celebre discorso! Ma davvero si vuole governare con chi decora i criminali di guerra fascisti?
Questo non solo rende infame l'attuale condizione dei complici di tale governo ma anche insopportabilmente odiosa a chi ha ben presenti nel cuore e nella mente gli ideali perenni del Socialismo Italiano. Contro tutto ciò bisogna lottare già hic et nunc, subito: da qui e da ora, senza tentennamenti, senza attendismi né opportunismi
E' una lotta che dobbiamo condurre all'insegna di due grandi valori: quello
della nostra cultura e identità e quello della condivisione con
coloro che hanno gli stessi obiettivi.
Così
fecero i nostri antenati nel Risorgimento, così fecero nella
Resistenza e così si è fatto nella stagione migliore e più
fruttuosa del riformismo italiano.
Bando
ai frontismi così come ai collateralismi, sia nostra la bandiera
della Patria libera e di una Europa migliore, liberata dall'assolutismo monetario, in cui questione sociale e questione ambientale
viaggiano all'unisono, senza dogmi né confessionalismi ideologici o
religiosi, per ritrovare quella piena sovranità che nasce solo dal
consenso popolare e che è l'essenza vera di ogni democrazia.
Una
democrazia che, nel primato dell'economia sulla politica, e nello
stravolgimento dei valori costituzionali, rischia di essere soffocata
e immiserita, prova ne è che a votare va sempre meno gente e sempre
meno convinta. C'è un “partito” del 40% abbandonato
all'astensionismo da convincere e da riconquistare. Questo era uno
dei Paesi in cui si votava di più, quando ancora la gente era
convinta di contare qualcosa. Oggi che è rassegnata alle oligarchie
dei nominati non è più convinta, ma solo vinta dalla rassegnazione.
E se non torniamo a ridarle animo e speranza gli scenari saranno
sempre più cupi e devastanti.
Diceva un grande socialista studioso libertario della terra come Jacques Élisée Reclus che la stessa lotta tra le classi, che egli testimoniò partecipando alla Comune di Parigi, non è altro che «la ricerca dell'equilibrio». Un equilibrio che oggi la globalizzazione a senso unico turbocapitalista ha non solo rotto, ma devastato, con conseguenze sociali ed ambientali che sono sotto gli occhi di tutti e che le guerre all'uranio impoverito trasformano ormai in una desertificazione progressiva di ogni specie vivente.
Diceva un grande socialista studioso libertario della terra come Jacques Élisée Reclus che la stessa lotta tra le classi, che egli testimoniò partecipando alla Comune di Parigi, non è altro che «la ricerca dell'equilibrio». Un equilibrio che oggi la globalizzazione a senso unico turbocapitalista ha non solo rotto, ma devastato, con conseguenze sociali ed ambientali che sono sotto gli occhi di tutti e che le guerre all'uranio impoverito trasformano ormai in una desertificazione progressiva di ogni specie vivente.
Noi
dobbiamo pensare in grande, care compagni e care compagni, per non
rassegnarci ad un destino di persone piccine, che cercano
spasmodicamente solo ed unicamente un postarello al sole, qualche
prebenda, qualche raccomandazione, qualche assessorato in giunta..o
qualche favore per chi “tiene famiglia”.
I
personaggi migliori della nostra storia sacrificarono tutto per
portare avanti quel testimone, quell'idea che Matteotti diceva che
non muore mai, la stessa che fu di Carlo Rosselli, il quale prima di
sacrificare la sua vita spese tutto il suo patrimonio per quella che
riteneva una lotta degna di ogni vero rivoluzionario perché, come
egli asseriva: “Egli
è tanto sicuro della bontà della sua causa che accetta con serenità
il trascorrere degli anni e anche la propria morte prima che la
battaglia sia vinta, nella certezza che altri la proseguiranno”.
Sia
quindi questa la certezza della bontà della nostra causa, quella del
Risorgimento Socialista, la capacità di restare uniti e di mettere
al di sopra di tutto, perfino della nostra vita, il valore eterno e
immortale di una Idea Luminosa che risorge ogni giorno e ritrova il suo avvenire grazie al
nostro libero e solidale cammino.
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