di Carlo Felici
Da
ben oltre un secolo la storia del Socialismo italiano è
indissolubilmente legata a quella del nostro Paese, considerando, in
particolar modo, che essa è direttamente proporzionale alla crescita
della nostra democrazia e civiltà, e inversamente proporzionale alla
decrescita morale, civile, economica e sociale dell'Italia.
Esso
sorse quando i lavoratori venivano massacrati anche a cannonate in
piazza e crebbe per combattere non solo con gesti eclatanti ma
isolati, come quello di Gaetano Bresci, l'ingiustizia e la tirannia
di un regime affermatosi con la monarchia sabauda, negando le
migliori istanze repubblicane e garibaldine del Risorgimento, ma per
far avanzare con concrete riforme e con iniziative socialmente
avanzate, i diritti dei lavoratori, la giustizia sociale e la libertà
di pensare, parlare ed agire in Italia.
Fu
una fruttuosa collaborazione in senso riformista che, nei primi del
Novecento, consentì a Giolitti di realizzare quello straordinario
avanzamento sociale ed economico che pose l'Italia, alla vigilia
della prima guerra mondiale, nel novero delle più grandi potenze
europee, anche se con deviazioni in senso imperialista e
colonialista, per altro contestate dalle componenti massimaliste del
Socialismo di allora.
Fu la negazione delle istanze socialiste e neutraliste, sostenute, tra gli altri, a spada tratta anche da Matteotti, e in controtendenza rispetto agli orientamenti dei partiti socialisti della II Internazionale, a far sprofondare l'Italia nel baratro e nel tritacarne della prima guerra mondiale, a cui seguì una crisi economica e sociale di immani proporzioni.
Ciò
nonostante, fu proprio la crescita che allora sembrò inarrestabile
del Socialismo a rimettere in moto il progresso sociale e civile del
nostro Paese negli anni del primo dopoguerra, tra il 1919 (in cui il
Partito Socialista Italiano raggiunse un terzo dei consensi
parlamentari) e il 1921, a torto considerato un “biennio rosso”
di caos e di pericolo bolscevico, quando fu lo stesso Salvemini a
dimostrare, con i suoi scritti che circolarono anche all'estero, che
in quel periodo c'era più caos e conflitto sociale in Inghilterra
che in Italia.
Allora
l'Italia fu sull'orlo di una “rivoluzione sindacale” che, se si
fosse affermata, avrebbe forse portato ad un profondo cambiamento
sociale ed anche ad un mutamento istituzionale di tali proporzioni,
da trasformare radicalmente la prospettiva storica futura del nostro
Paese.
Le
forze della reazione se ne accorsero e purtroppo si affermarono, anche a causa delle
divisioni interne allo schieramento socialista, irrimediabilmente e
rovinosamente scissosi nel 1921, con i massimalisti che, inseguendo
vani sogni bolscevichi, rinfocolarono le forze della reazione
fascista, e con i riformisti che rinnegando l'unica componente
“militare”: gli Arditi del Popolo, in grado di contrastare lo
squadrismo, firmarono un infame patto di pacificazione con Mussolini.
Fu il preludio della capitolazione, i socialisti, divisi e
rinunciatari, iniziarono così il loro declino, ma non fu quella la
fine della loro storia.
Essa
proseguì con la fulgida testimonianza di Matteotti, la cui morte
fece vacillare il nascente regime, con la lotta clandestina durante
gli anni della dittatura, con Pertini, Nenni, Rosselli e tanti altri,
con la prima lotta armata al fascismo nella guerra di Spagna e con la
Resistenza in Italia.
Senza
i Socialisti, nel dopoguerra, non avremmo avuto le migliori stagioni
della nostra democrazia, come quella dei primi anni '60, in cui si
reagì al tentativo della DC di costruire un regime autoritario con
l'appoggio degli ex fascisti, e in cui soprattutto si attuò una
politica di riforme tali da distribuire quella ricchezza che, con il
boom economico, si era concentrata solo nelle mani di pochi e con lo
sfruttamento di tanti, per avere anche servizi, scuole, e opportunità
migliori per tutti. Anche quella volta, come è sempre accaduto nel
nostro Paese, la reazione non si fece attendere in tutta la sua
brutalità: iniziò la stagione delle bombe e delle stragi, utile
solo a compattare un potere che non si voleva dovesse avere alcuna
alternativa, più o meno come si fa ancora oggi, con altri strumenti.
Un regime che, garantendo obbedienza, servilismo e fedeltà
geostrategica, in cambio, cominciò (e non ha mai finito) ad
accumulare privilegi e poteri inattaccabili.
Una
stagione che fu interrotta solo dalla meteora craxiana, da un periodo
in cui cioè il Socialismo italiano, accogliendo in pieno le sfide
dell'epoca in cui agì, si pose come un cuneo nel mezzo dello scontro
tra est ed ovest, aiutando all'estero movimenti socialisti in
Sudamerica in lotta contro l'imperialismo americano (si ricordi
quello nicaraguense e palestinese) ed in Europa i movimenti libertari
(si ricordino i movimenti polacchi e cecoslovacchi) che volevano
spezzare la pesante catena che li teneva aggiogati al regime
sovietico, mentre all'interno del nostro paese si faceva crescere il
PIL a due cifre e si riduceva l'inflazione ad una. E quando si ebbe
un intervento diretto e militare per riportarci alla consueta
condizione di vassallaggio, a Sigonella, per la prima ed unica volta
nella nostra storia repubblicana, si decise di reagire e si poté alzare la
testa e dire no.
Era
evidentemente troppo: il Socialismo doveva essere definitivamente
cancellato dal nostro Paese, e quindi, inevitabilmente partì da
tutti i fronti non solo l'attacco strumentale e giudiziario, ma anche
quello culturale, proteso alla rimozione del nome e della memoria del
socialismo italiano.
Tutti
sanno che Craxi non fu meno spregiudicato di altri partiti e che, pur
non ricevendo soldi né dalla CIA e tanto meno dal KGB, come hanno
fatto per decenni i maggiori partiti italiani: la DC e il PCI,
sapendo molto bene gli uni degli altri, e con “cassieri” che
tuttora sono ai vertici delle nostre istituzioni, ancora oggi, con il solo suo
nome, nella italiaca “doxa”, è associato al “latrocinio”
e alla corruzione. Ciò nonostante, i livelli endemici di
corruzione sono adesso spaventosamente superiori a quelli dei tempi di
tangentopoli e non più intrinseci al sistema democratico, ma del
tutto eversivi rispetto ad esso.
Tutti
sanno che tanti imprenditori cercarono di saltare su quello che
allora sembrava il suo “carro trionfale” ma che, concretamente,
era solo una macchina di partito che praticava la “legittima
difesa”, e tra questi ci fu Berlusconi che Craxi incoraggiò
perché credeva che, solo attraverso di lui, si sarebbe potuto
rompere il duopolio consociativo tra DC e PCI, esercitato soprattutto
in ambito mediatico, ed è altrettanto noto che lo stesso Berlusconi
non aiutò mai minimamente né andò a trovare Craxi, quando egli
finì in disgrazia. Eppure continua il tormentone per cui Craxi fu
solo il precursore di Berlusconi.
I
vassalli, valvassori e valvassini di allora stavano solo preparandosi
a continuare ad esserlo sotto altre mentite spoglie anche in futuro,
ma sempre e comunque con lo stesso obiettivo: accumulare privilegi
intoccabili, accompagnati dalla svendita del nostro paese, e dal
nostro declino sociale economico e politico.
Un
processo iniziato venti anni fa e mai più concluso, anzi oggi
ripreso alla grande sotto il ricatto del debito e accompagnato
immancabilmente dall'annientamento della cultura e della prassi
socialista e, conseguentemente, dalla riduzione dell'unico partito
socialista rimasto con tale nome in Italia, a piccolo apparato
“satellitare” di un regime che ormai ha assunto senza remora né
vergogna, la fisionomia netta di un “monopartitismo imperfetto”
di una “diade governativa” alternativlos (a cui, per diktat
presidenziale, non è possibile alcuna alternativa).
Lo
ricordi bene e ne faccia una ragione di vita e di impegno incessante,
chi lotta non da ieri per ridare dignità e forza a quello che è
ancora l'unico partito socialista in Italia.
Perché,
di fronte a tutto ciò (e lungi da noi avere la velleità di
condensare la gloriosa storia del Socialismo Italiano, in poche righe
da bignami), è “gioco forza” e anche “giocare facile”, per
chi crede di essere l'unica opposizione rimasta, anche solo gridando:
“Andate tutti affanculo!”, demonizzare non solo l'eventualità ma
persino la storia di chi potrebbe tornare in Europa, così come è
validamente tornato in Sudamerica, ad alzare la testa e a rivendicare
almeno il primato della politica sull'economia, non rassegnandosi
così sempre e comunque, alla servitù dell'inverso..
Il
movimento di Grillo, che, tra l'altro, in nome di una non ben
quantificabile elemosina di stato chiamata reddito di cittadinanza
(come se un cittadino dovesse ridursi, con il suo miserabile “meglio
di niente” di ben 500 euro al mese, ad essere suddito senza
accorgersene), vorrebbe abolire sindacati, cassa integrazione, INPS
ed ammortizzatori sociali, come rottami degli anni '70, adesso ci
dice che un socialista, non di oggi, si badi, ma di ieri, e di uno
ieri straordinariamente illustre come quello in cui “un gigante
buono” della nostra storia (così lo definì Turati) agì e
testimoniò fino al martirio, nel nome dei “pezzenti e diseredati”
del Sud per ottenere dal governo Giolitti l'avvio dei lavori per
l'Acquedotto Pugliese, nel nome chiaro e forte di quel Socialismo che
lo fece inquadrare nel mirino di squadristi troppo luridi, codardi e
vigliacchi per affrontarlo a viso aperto, tanto che gli spararono
alla schiena in perfetto stile mafioso, non deve essere ricordato per quello che fu e sempre sarà. Sì, perché la congrega dei “nanerottoli
grillini” che nessuno ha mai visto lottare, soprattutto con lo
sciopero, insieme ai lavoratori nei luoghi della sofferenza e della
emarginazione sociale, vorrebbe "emendare" un tale straordinario personaggio, rappresentandolo come una sorta “Brontolo” qualunque, come un qualsiasi
“uomo di cultura sociale, economica e politica”
.
Ma fatevela voi, piuttosto, o grillini straparlanti, una cultura
sociale economica e politica, prima di avvicinarvi anche solo da
lontano ad un gigante simile!
E
soprattutto considerate che lo spreco di denaro pubblico consiste più
nel mandare ignoranti in Parlamento, con quella legge che voi, solo a
parole, contestate ma che, quando vi fa comodo, difendete a spada
tratta, piuttosto che nel ricordare al popolo chi e cosa fecero
coloro che ancora sapevano bene cosa fosse il combattere fino alla
morte per la democrazia e per il Socialismo!
Giuseppe
Di Vagno fu il primo parlamentare, non a caso socialista, vittima del
fascismo, non sarete voi a farne il primo martire dell'ignoranza
(madre suprema di tutte le dittature) in un Parlamento che debba
dimenticarsi del Socialismo.
Mettetevi
dunque il cuore in pace: Grillo tra un secolo, se non prima, da polverone sarà "emendato" dalla storia a "polverina" e
neanche più tanto da “risolino”, mentre, con il Socialismo, da un
continente all'altro del mondo, ancora, e anche tra più di un
secolo, continuerà a spuntare glorioso il Sol dell'Avvenire.
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