Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo

Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo
Garibaldi, pioniere dell'Ecosocialismo (clickare sull'immagine)

giovedì 10 luglio 2025

SCENA MUTA?

 




Si concludono in questi giorni gli esami di maturità in tutte le scuole italiane senza che vi sia una adeguata riflessione sullo scopo, la validità e la funzionalità di tali prove.  

Dopo innumerevoli riforme, ciascuna delle quali ha vanamente cambiato i sistemi di valutazione, si è tornati alla vecchia contabilità dei voti, al giudizio numerico frutto di medie matematiche di risultati conseguiti durante gli anni e durante le prove di esame. Questo è avvenuto i tutti i cicli della scuola secondaria, sia di primo che di secondo grado, medie e superiori.

Eppure i risultati, misurati anche con le prove INVALSI, non sembrano certificare un vero salto di qualità nella preparazione degli studenti italiani. Qual è dunque il difetto di origine di un sistema che non produce risultati adeguati, in particolare nella motivazione e nella formazione degli studenti? Tenendo conto che formazione è null'altro che il frutto della motivazione. Poiché solo uno studente altamente motivato, può conseguire alti risultati formativi.

Chi come me ha insegnato per svariati decenni nella scuola secondaria di primo e secondo grado una idea precisa se l'è fatta, ma prima di esporla sarà il caso di analizzare le risposte che gli stessi studenti stanno cominciando a dare.

Sono comparsi i casi di uno studente e di una studentessa che hanno rifiutato di sottoporsi all'esame orale, pur sapendo che la loro “media matematica” avrebbe consentito loro di superarlo lo stesso, adducendo più o meno le stesse motivazioni, troppo sbrigativamente liquidate da una preside come “di comodo”

Ebbene, ciò che gli studenti mettono in risalto come negativo, non è un singolo aspetto di questo o quell'indirizzo scolastico e nemmeno la struttura del ciclo scolastico, ma l'architrave stesso che sorregge ancora tutto il sistema formativo scolastico italiano, tuttora basato come più di un secolo fa, sul voto numerico.

Lo studente non accetta di essere ridotto ad un numero, che cioè tutta la pedagogia dei docenti italiani sia ridotta ad una docimologia contabile, la quale spinge inevitabilmente gli studenti e le famiglie a confrontarsi su risultati stabiliti da numeri, e sovente genera anche forme di competizione insopportabili e frustranti fra gli studenti stessi o proteste al limite del nevrotico nelle famiglie se uno studente non arriva a ciò che la mamma o il papà si aspettano in termini numerici

Eppure la realtà dimostra che anche gli studenti che escono con una votazione alta dagli esami di maturità, sovente hanno una preparazione a dir poco mediocre, o comunque priva di quel senso critico, di quella inventiva, o di adeguata originalità per produrre innovazione e creatività negli studi superiori o nel lavoro.

E' quindi evidente che un tale sistema, nonostante ci si continui a ripetere che è necessario per formare dei giovani ad affrontare le difficili sfide della vita, si sta rivelando del tutto fallimentare.

E il motivo è presto detto, esso riduce infatti il rapporto tra docente e studente a mero calcolo statistico e a contabilità, aggravando e rendendo frustrante il rapporto tra gli stessi studenti, basato sul confronto spesso spasmodico tra votazioni numeriche diverse.

C'è un evidente difetto di formazione nei docenti italiani, specialmente in quelli di scuola superiore. C'è il pregiudizio duro a morire, per cui chi sa, inevitabilmente sa pure insegnare, cioè chi è padrone della sua materia, è automaticamente anche in grado di insegnarla. E questo è quanto di più pedagogicamente sbagliato, fin dai tempi di Socrate, il quale insegnava che affinché qualcuno possa imparare, è necessaria un'arte maieutica, una propensione all'osservazione dell'interlocutore e al dialogo formativo che conduce ad una scoperta condivisa, tale è il senso originario della verità per coloro che hanno inventato la storia e la filosofia. 

Heidegger mise bene in risalto la differenza di etimologia e di senso nei due vocaboli che in greco e in latino hanno come comune significato la verità. Uno è alethéia, l'altro veritas.

Il primo vocabolo composto da un alfa privativo e da un derivato di lanthàno che vuol dire nascondo, esprime il significato del non nascondimento, della scoperta continua destinata a perfezionarsi, il secondo che ha come radice Wer, ci riporta alla fede per qualcosa di indiscutibile e quindi anche al conformare una opinione a quello che viene definito un fatto, senza considerare che altri fatti potrebbero smentirlo. La verità latina ha senso solo se la si crede e la si impone come tale, quella greca solo scoprendola sempre meglio.

E' quindi del tutto evidente che la scuola italiana si basa tuttora sul senso e significato della verità latina. Ci devi credere perché te lo dico io insegnante e tanto meglio tu mi ascolti, tanto più credi in quello che ti dico conformandoti a come te lo dico e ai miei contenuti, tanto più i tuoi risultati saranno positivi e degni di lode

Come è evidente, in tal modo non si contribuisce alla crescita di menti autonome e creative, ma solo alla creazione di ripetitori, che sicuramente, in quanto tali, saranno con un tempo non troppo remoto sostituiti da robot, accomunati in questa sorte anche dagli insegnanti. Un robot infatti è capace di memorizzare ed esporre in maniera impeccabile un numero di nozioni infinitamente maggiore rispetto a come può esserne in grado un essere umano.

Una scuola di robot in cattedra che misurano numericamente i risultati mediante quiz a risposta multipla, valutando in maniera contabilizzata i risultati, non è molto lontana dalla realtà odierna e sicuramente potrà essere anche molto più efficiente. Ma cosa produrrà? Evidentemente solo individui predisposti a credere ed a conformarsi, cioè ad obbedire senza derogare dal loro percorso, una scuola cioè di automi inevitabilmente frustrante e incubatrice di odio che, come abbiamo già visto molte volte negli USA, dove il verbo “competition is competion” è legge e “veritas”, sovente è destinata ad esplodere in violenza incontrollabile in sparatorie nel mucchio, generate da una inevitabile e inarrestabile frustrazione. Noi, nonostante gli illustri trascorsi ormai da svariati decenni, della scuola italiana, ci stiamo avviando per quella strada.

Allora sarà il caso di arrestarsi in tempo, di rimettere al centro di ogni assetto formativo non il numero, ed il voto che ne consegue, ma l'essere umano, con un duplice scopo: dialogare con lo studente e osservarlo attentamente ed interdisciplinarmente, nel suo processo di crescita formativa.

Ma senza programmarla, come oggi si fa, privandosi del suo contributo, cioè senza valutare livelli di partenza ed obiettivi da conseguire, privandosi dell'ascolto e dell'osservazione in itinere dei risultati che si possono ottenere ed incrementare in base alla natura stessa dell'alunno con cui ci si confronta. Non può esistere un programma o una programmazione per una intera classe così come non possono esistere indirizzi uguali per tutti durante il percorso di crescita dei singoli alunni, perché ogni alunno ha una natura, una personalità, una storia e una attitudine che deve scoprire sempre meglio, osservando quel che gli è più congeniale ed assecondandolo mediante il contributo maieutico del suo insegnante. Così come ogni alunno deve imparare a competere non con altri diversi da lui, ma sempre e soltanto con se stesso, con quello che, a poco a poco, o magari rapidamente riesce ad imparare e migliorare, rispetto al suo passato.

La valutazione per ogni alunno così non deve essere effettuata in base al sapere acquisito ma a quanto egli ha saputo incrementarlo, per come è riuscito a migliorare il suo sistema di apprendimento, volta per volta con il tempo di fronte agli stimoli che l'insegnante gli ha messo a disposizione. E l'arte dell'insegnante è proprio quella di creare stimoli che incrementino le motivazioni, con tutti gli strumenti che egli riesce a mettere in campo, non solo con la sua cultura libresca, ma persino con una passeggiata in un bosco, con un film, o una rappresentazione scenica

E' tempo che i cosiddetti “programmi e manuali” vengano dati al macero, perché non esiste un programma tanto adeguato da adattarsi alla personalità di ciascuno studente, esiste una classe in cui, dialogando al suo interno si possono fare programmi discussi ed approvati da tutti e che tutti a quel punto rispettano, perché corrispondono, in linea almeno di massima, alle attitudini e alle motivazioni di tutti.  

Mettiamocelo bene in testa, solo uno studente altamente motivato e pienamente coinvolto, specialmente nel ciclo di studi superiori (ma io partirei anche dalla terza media) riesce a conseguire e a condividere obiettivi formativi elevati. Uno studente soggetto al continuo confronto con altri e ossessionato dal dover soddisfare il suo insegnante per prendere un voto alto, magari uscirà dalla scuola con un pezzo di carta con un numero alto, ma sicuramente con una testa incapace di pensare autonomamente.

Forse è questo che una società governata in modo autoritario vuole assicurarsi per il futuro, ma sicuramente non è questo l'obiettivo che può rendere competitivo un Paese, in sede globale

Altrimenti i nostri studenti più preparati non se ne andrebbero all'estero per specializzarsi nel pensare con la testa propria e trarre maggiori vantaggi da essa.

Noi dobbiamo, per riformare seriamente la scuola, ripensare i cicli scolastici ed i sistemi di valutazione. Innanzitutto creare un ciclo continuo che segua pedagogicamente uno studente e lo accompagni anche esistenzialmente negli anni più difficili della sua crescita umana ed esistenziale, dalla preadolescenza, dai 12 fino ai 16 anni, dando risalto in tale ciclo a tutti gli aspetti che possono aiutare la sua personalità a crescere e a relazionarsi con altri, sulla base di valori condivisi.

Poi dare ampio spazio alle sue attitudini, non con licei a compartimenti stagni, ma con la possibilità facilitata di passare da un liceo e persino da un corso all'altro valutando e potenziando le competenze, le attitudini e le motivazioni che ogni studente mette in campo e, a questo punto, dandogli anche la possibilità di valutare lo stesso insegnante in base alla qualità dei risultati che riesce ad ottenere

Il voto va semplicemente abolito, con delle note specifiche sul percorso di ciascuno studente inerenti alla sua base di partenza, alle sue difficoltà, ai risultati che ha ottenuto prendendone coscienza e superandole, e a come è riuscito ad interagire meglio con gli altri.

Io immagino i futuri esami di maturità come esami di equipe, cioè con piccoli gruppi, magari sorteggiati, che interagiscono e creano qualcosa in comune in un laboratorio creativo, da discutere nello stesso gruppo e con i docenti nella prova finale

Le valutazioni finali saranno condivise, al massimo su tre livelli, adeguato, innovativo e creativo. Ovviamente tenendo conto della possibilità che sia inadeguato per mancanza di motivazione, di impegno e di condivisione

Perché la vita alla fine è quella che ci giudica di più e nella vita gli esami “non finiscono mai” e li si supera sempre se si ha una buona motivazione, una capacità di innovare rimettendosi in discussione, e soprattutto di partecipare e condividere, per fare in modo che l'impegno di ciascuno sia potenziato dallo stesso impegno di coloro che ne sono partecipi. Le scuole giapponesi, altamente competitive funzionano così, alta preparazione individuale, ma estrema disciplina di gruppo, chi va per conto suo alla fine si vergogna prima ancora di essere estromesso o bocciato.

In molte scuole scandinave non esiste più l'insegnamento frontale, eppure sono quelle che presentano i migliori risultati didattici

Più di 2000 anni fa lo stesso Seneca si lamentava per un sistema scolastico che puntava più sulle necessità della scuola rispetto a quelle indispensabili per la formazione degli alunni e stigmatizzava la sua critica in una delle sue Lettere a Lucilio con la frase “Non vitae sed scholae discimus”. Non stiamo imparando a vivere ma ad adeguarci alla scuola

Quindi nonostante non i secoli, ma persino i millenni passati, siamo ancora a questo, esasperando la burocrazia scolastica con infinite ed asfittiche riunioni, con collegi inesauribili e inconcludenti, con relazioni spesso autoreferenziali ed astruse..si potrebbe continuare, ma mi fermo evidenziando la necessità di invertire la frase di Seneca, non facendone il pietoso specchio di una realtà immutabile, ma un auspicio vero per una scuola nuova e soprattutto per una vita nuova

Non scholae sed vitae discimus. Non impariamo per qualcosa che resterà confinato e ripetuto all'infinito nelle mura degli edifici scolastici, ma per una vita che ormai si può e si deve estendere globalmente a tutta la civiltà umana, In un palcoscenico talmente vasto da rendere impossibile ogni scena muta.


Carlo Felici