di Diego Fusaro
Si è già molto discusso del trionfo di Matteo Renzi alle “primarie” del Partito Democratico. Se ne è discusso, ovviamente, sempre all’interno del coro fintamente polifonico del pensiero unico politicamente addomesticato: che del “rottamatore” Renzi ha fatto, per lo più, il grande elogio o, più raramente, la critica in nome di altri candidati che avrebbero potuto avere la meglio.
Al di là della chiacchiera irrilevante e politicamente corretta, sempre pronta a intonare le usuali serenate per lo status quo permeato dal dilagante fanatismo dell’economia, sono altre le considerazioni che occorre svolgere, senza troppe perifrasi e violando consapevolmente il tabù del politically correct. Ed è quello che proverò telegraficamente a fare qui di seguito.
“Non cambiamo campo, ma solo i giocatori”, ha affermato, col suo usuale inopportuno lessico postmoderno Renzi: non è tanto una excusatio non petita, quanto piuttosto (una volta tanto!) una tragica verità. Infatti – per chi non se ne fosse accorto – la cosiddetta sinistra il campo l’ha già cambiato parecchi anni or sono: ed è dunque del tutto naturale che sul campo in cui sta attualmente giocando – quello del neoliberismo selvaggio legittimato dalla cultura ultracapitalista della sinistra stessa, passata armi e bagagli dalla questione sociale al giustizialismo, da Carlo Marx alla signora Dandini – si limiti a cambiare di tanto in tanto i giocatori. Da Bersani a Renzi, da D’Alema a Prodi: tutte “maschere di carattere”, avrebbe detto Marx, che hanno segnato, ciascuna a modo loro, il trionfo del capitale presso il polo sinistro che tradizionalmente lo combatteva. Appunto, si è trattato di sostituzioni di giocatori – sempre con il lessico calcistico pop di Renzi –, senza che il campo cambiasse mai veramente.
Se Bersani univa, in modo quasi schizofrenico, un linguaggio da cooperativa anni Settanta con la supina accettazione delle leggi del mercato presentate come destino insindacabile, in Renzi non vi è nemmeno più la maschera ideologica: il capitale parla apertamente, senza giri di parole, facendo esplicitamente mostra di sé nel patetico linguaggio neoliberista del “rottamatore”. Di diritti sociali, tutela per gli esclusi, difesa del lavoro non v’è nemmeno più traccia verbale nei vuoti discorsi di Renzi (si potrebbe con diritto parlare, in termini hegeliani, di “vuota profondità”). È il discorso del capitalista che ormai apertamente si esibisce anche a sinistra, rivelando l’ormai avvenuta colonizzazione dell’immaginario da parte del capitale.